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Diario Madrid - Astorga

liam

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Tornata domenica dal camino de Madrid più un pezzettino di Francese (da Sahagun a Astorga).

Il Camino de Madrid, come hanno già detto altri, è un gran bel cammino, da provare.
Beh, se non si hanno problemi a stare da soli. Camminato sempre da sola e dormito da sola 7 notti su 11.
Malgrado questo non lo considero "solitario".
Ho cambiato un po' idea sulle meseta. Dopo il mio primo cammino, l'aggettivo principale, quasi unico, che mi veniva in mente pensandoci era "caldo". Non che questa volta non facesse caldo, ma... essere lì, senza niente altro intorno che cielo azzurro e terra brulla... wow... mi è piaciuto parecchio.
Ma non sono solo meseta. Ho anche incontrato il bacino del Manzanares (Dalle Alpi alle piramidi...), la Sierra de Guadarrama, la Tierra de Pinares (mai avrei pensato di camminare così tanto sulla sabbia...), Segovia, castelli, chiese, paesini particolari.
Poi persone curiose, persone ospitali, persone che hanno voglia di raccontarti del loro piccolo paese.

Devo dire però che nelle 2 settimane qualche volta ho dovuto usare il mio interruttore dell'invisibilità.
Per scemenza mia, ovviamente.
Un paio di volte ha funzionato subito, un altro paio si è un po' inceppato, ma alla fine non è stato così grave.

Come sempre era con me il mio quadernino, su cui scrivere frasi varie.
Gli anni scorsi mi sono divertita a interpretarle e riscriverle qui.
Forse lo farò anche questa volta (tanto nessuno è obbligato a leggere), vedremo nei prossimi giorni...

Per ora lascio una foto di una cosa vista appesa all'ingresso dell'albergue di Villavante
 

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23/08 Madrid-Colmenar Viejo (23km, partendo dal centro di Madrid sarebbero 34km)
Sveglia alle 4:30.
Niente RyanAir, cercato troppo tardi e i prezzi sono alti. Volo da Caselle alle 7:30, ho quasi l’intera giornata a disposizione.
Tutto pronto e in ordine di utilizzo dalla sera prima, posso partire dormendo.
Rumore che arriva da fuori. Sta diluviando. Non solo pioggia, un vero diluvio.
Non posso aspettare che smetta. Devo ragionare velocemente, cosa non facile dormendo.
Ombrello no. Non voglio portarmi il peso per 15 giorni e so che non riuscirei ad abbandonarlo di proposito.
Tiro fuori dallo zaino giacca impermeabile e coprizaino. Sandali e pantaloni rimboccati al ginocchio.
E si va, sguazzando nelle pozzanghere, fino alla fermata dell’autobus. Quando salgo creo un laghetto, ma sono abbastanza asciutta.
Mi addormento di botto subito dopo il decollo.
Apro gli occhi, il signore di fianco a me mi sta fissando: “Mi sto annoiando”.
“Ehm, ho dormito…”
“Ho visto. Un’invidia!”
Stiamo atterrando.
Quanto è grosso sto aeroporto. Il primo tratto di cammino me lo faccio per arrivare alla metro.
Mi spiace un po’ non partire dal centro, ma 11 km di città sono tanti e allora “trasso” (per i non piemontesi: baro), parto sì da Madrid, ma dalla sua periferia: fermata Fuencarral.
Parco. Prima freccia gialla. Ci sono.
C’è chi corre, chi va in bici, chi passeggia col cane, chi fa ginnastica. E chi segue frecce gialle.
Qui non piove, anzi. Non una nuvola. Per fortuna c’è un po’ d’aria.
I grattacieli di Madrid sono dietro di me.
Un tratto di campagna brulla e secca.
Un gregge di pecore ammucchiato sotto un paio di alberelli.
Non le noto subito, poi sento belare: “Quelle irlandesi le fotografi e noi no?”. Una foto anche a loro.
Non glielo dico per non offenderle, ma quelle irlandesi hanno un’aria molto più distinta.
Sotto un altro albero c’è il loro capo-cane che le tiene d’occhio.
Una stazione abbandonata. Mi sembra un po’ strano che mi debba buttare giù dalla scarpata per superarla. Devo aver perso qualcosa. Però risalendo di là ritrovo le frecce, quindi va bene così.
Per arrivare a Tres Cantos sentiero a fianco di una ciclabile, che è a fianco di un’autostrada. C’è di meglio.
Proseguo verso Colmenar Viejo.
Inizia la Via Pecuaria. Malgrado il nome mi faccia venire in mente le pecore, ha come simbolo una mucca e incontro anche delle mucche in carne e ossa. Anche qualche cavallo.
Il campanile di Colmenar inizio a vederlo da Tres Cantos, ma ci vuole un po’ per arrivare.
Però è piacevole camminare. Ci sono un po’ di alberi, attraverso ruscelli asciutti, iniziano un po’ di colline.
Una sosta sotto gli alberi ci vuole, presa dall’euforia del primo giorno non mi sono ancora fermata.
Qualche settimana fa ho comprato una confezione di barrette di Ovomaltina ricoperte di cioccolato. E’ una vita che non ne mangio e l’Ovomaltina mi piace un sacco.
Ho resistito alla tentazione di mangiarmele subito per portarle qui e adesso che è venuto il momento scopro che non è stata una grande idea.
Il cioccolato si è fuso e si è attaccato tutto alla carta. Cerco di leccarlo ma faccio un macello.
La mia maglietta #1 ha la sua bella macchia di cioccolato che, malgrado i lavaggi, rimarrà ben visibile fino alla fine.
La #2 avrà presto una bella macchia di unto da tortilla de patatas.
Non so cosa abbia fatto di male la #3 per non meritarsi una medaglia anche lei.
Colmenar Viejo. Non c’è albergue. Ho messo in conto che per i primi 3 giorni dormirò in hostal. Questo non è neanche così economico. In più la ragazza, sentito il mio spagnolo, decide di parlarmi in inglese. Vabbè, si sopravvive lo stesso.
Giro per il paese. C’è una strana fontana, monumento alla “grondaia”? Boh, non capisco tanto.
Il campanile che ho visto per chilometri non è così facile da individuare quando sei tra le case. Ma ci arrivo.
La chiesa è bella, ma chiusa.
C’è un tabellone che parla del tragitto da Madrid a Sahagun, finisce con la frase: Non dimenticate di timbrare la vostra credenziale. Dove si timbra? All’ayuntamiento, sabato pomeriggio chiuso, all’ufficio del turismo, dallo stato della vetrina direi chiuso da un po’, o telefonare al parroco. Posso vivere anche senza timbro.
Mangio qualcosa e poi a dormire, che ne ho bisogno.
 

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24/08 Colmenar Viejo-Cercedilla (33km)
Colazione con acquisti fatti ieri al supermercato e parto appena inizia a fare chiaro.
Appena fuori Colmenar c’è un murales che augura Buen Camino.
Nessuno me l’ha ancora detto, anche se in molti mi hanno salutato.
Mi giro e giù in fondo si vedono ancora i grattacieli di Madrid.
Mi viene in mente quel “cosone” che stanno costruendo dalle parti di casa mia (nuovo palazzo della Regione), che ovunque ti trovi te lo vedi davanti e non mi entusiasma per niente.
Però… il fatto che si vedano da così lontano, forse un senso ce l’hanno. Dovrò ricredermi anche sul “cosone”? Mah, vedremo.
Per ora mi guardo le montagne che ho di fronte. Come spesso succede al mattino, hanno un colore che mi piace molto.
Scopro di essere nel bacino del Manzanares.
Immediatamente parto con “Ei fu. Siccome immobile…”, ma non riesco ad andare oltre le prime 2 strofe e al pezzettino in questione “Dalle Alpi alle piramidi dal Manzanarre al Reno”, che però non so bene dove piazzare.
Abbandono il Manzoni, questo tratto è bello.
Mi sorpassa qualche moutain-bike in giro domenicale e 2 signori di corporatura diciamo “robusta” che camminano a passo spedito con i loro bastoncini.
Quando mi raggiungono stanno grondando di sudore e mi usano come scusa per rallentare un po’. Alla fine camminiamo insieme e chiacchieriamo per un bel tratto, a un bivio ci salutiamo.
Arrivo su un cucuzzolo e si vede il paese di Manzanares el Real sotto, con castello e embalse. Dietro di lui montagne aspre e rocciose.
Discesa tranquilla e piacevole. Oggi mi sento più in cammino.
Manzanares è piena di gente che passeggia o è seduta ai tavolini dei bar.
Ne approfitto per fare una “seconda colazione tendente al pranzo”, colacao y tostadas, ma con olio e pomodoro.
Due signore in perfetta tenuta da escursionista si incuriosiscono per la freccia gialla che mi penzola dallo zaino e mi fanno un po’ di domande. No, il cammino non è un’impresa da supereroi!
Vado a vedere il castello (da fuori), la chiesa e l’immancabile Plaza Mayor.
Il primo tratto fuori Manzanarer è affollato: chi cammina, va in bici, a cavallo, mangia, gioca. E’ domenica, è una bellissima giornata e penso che parte di Madrid si sia riversata da queste parti.
Dopo mezzora sono rimasta solo più io.
Seguendo stradine di terra battuta arrivo all’ermita di Sant’Isidro.
Grazie a un segnavento sul campanile posso identificarlo come il santo con buoi e aratro che vedrò spesso raffigurato nei giorni successivi.
Il sole picchia, ma è secco e c’è anche un po’ di vento. Per ora nessun problema per il caldo.
Mataelpino, paesino abbastanza montano. C’è un monumento con un’aquila che uccide un serpente che... boh… è strano.
Continuo a salire tranquillamente tra montagne con rocce dalle forme buffe (c’è un “cappello di Puffo” proprio di fronte a me) e pietroni messi in posizioni strane. Mi piace.
Vedo un paio di rapaci, che non provo a battezzare, che volteggiano in alto.
Navacerrada con il suo embalse.
Salgo ancora un po’ e poi discesa a Cercedilla.
Qui c’è un Ostello della Gioventù, ma è qualche km fuori dal paese. Alla fine scelgo l’hostal, non costa molto di più ed è più comodo.
Il problema è arrivarci. Chiedo almeno a 10 persone. 9 non hanno idea e una, che probabilmente ha fretta, si limita a dirmi “Bajo, bajo”, con una indicazione molto vaga della mano.
Arrivo non a un bivio, ma a un trivio, e adesso “bajo” dove?
La tappa non era cortissima e questo girare a vuoto mi sta facendo sentire un po’ di stanchezza.
Vedo una signora semi nascosta da un muretto. Mi avvicino.
Ha un abbigliamento stile “nostalgico figlio dei fiori”, un’espressione molto stralunata e una serie di cagnetti che la seguono. Penso “No… inutile”. Ma ormai è chiaro che mi sto dirigendo verso di lei, non mi resta che provare comunque. Mi risponde “Non è qui”. Eh… lo vedo. Sto per ringraziare e andare avanti, quando mi dice “Vieni”. E in un attimo mi porta proprio davanti.
Così imparo a giudicare le persone dall’aspetto!
L’hostal è proprio di fronte alla stazione, mi fossi informata meglio sarebbe stato tutto più facile… ma non avrei incontrato quella strana signora, quindi va bene così.
Qui mi sono più simpatici, mi lasciano usare il mio similSpagnolo.
Mangio qualcosa al bar che c’è sotto, mi fanno una lezione sul formaggio spagnolo e un mucchio di domande.
Giro “in centro”, mangio un gelato durissimo e scambio la statua di Francisco Fernandez Ochoa (incredibile, so anche chi è) per Pinocchio. Questi monumenti spagnoli mi creano qualche problema.
 

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25/08 Cercedilla-Segovia (32km)
Il Bar è ancora chiuso, colazione con un po’ di avanzi di ieri.
Fa freschino, sono abbastanza in alto.
Inizio a salire nella pineta. Prima un poco di asfalto, poi sterrato, poi arrivo alla Calzada Romana.
C’è un tabellone che spiega quanto fossero bravi i romani a costruire le strade e quanto la Calzada Romana sia migliore di quella Borbonica, sia perché seguendo le curve di livello sale in maniera più dolce, sia per il modo in cui è stata costruita. Un po’ di orgoglio nazionale.
La valle è abbastanza stretta e il sole inizia a farsi vedere intorno alle 9:30, dopo 2 ore che cammino.
Con il fresco vado su bene. Mi guardo intorno, ascolto i rumori del bosco.
Arrivo senza grossa fatica al Puerto de la Fuendrìa, quasi 1800 metri.
Qui si incontrano 2 vie. Quella che non sto seguendo mi sembra più frequentata, mentre sono su vedo passare 2 persone a piedi e un gruppetto di ciclisti.
So che la discesa sarà lunga. In genere preferisco salire. Ma questa inizia bene. In mezzo agli alberi, tranquilla. Una fontana di acqua freschissima. Ogni tanto ci sono dei pannelli che raccontano di quando il re passava di qua con tutto il suo seguito. Insomma, mi piace.
Esco dal bosco. Il sole picchia forte, ma per fortuna continua l’arietta che aiuta parecchio.
Pascoli, con mucche e cavalli, e giù in fondo la pianura, dove c’è Segovia.
Arrivo in fondo alla discesa senza problemi e abbastanza allegra.
Ero un po’ preoccupata per questa discesa e invece mi è proprio piaciuta.
A Segovia dovrebbero mancare circa 5 km, poco più di un’ora e sono lì.
Mi sto facendo tutti questi bei ragionamenti, quando, dopo aver attraversato una statale, mi rendo conto che c’è qualcosa di strano. Fa un caldo tremendo.
Ci metto un attimo a capire: non c’è più un filo d’aria.
Ho la sensazione che in questi ultimi 5 km non troverò un briciolo di ombra e la cosa non mi piace per niente.
Solo sole. Neanche il cambio di vocale riesce a farmi partire con qualche ragionamento strano, lo noto e basta.
Alla mia sinistra, in lontananza, si vede una cosa in mezzo al nulla che sembra una stazione. Ma dove le fanno?
Però almeno ho un punto di riferimento, non ci passo vicino, ma attraverso i binari.
Si vede la torre dell’acqua di Segovia, ma non mi faccio fregare, lo so che sono enormi, sembrano vicino e invece.
Fa davvero caldo e faccio davvero fatica.
Che non mi venga mai in mente di fare la Plata d’estate.
Un po’ prima di entrare in Segovia si passa sotto un’autostrada o qualcosa di simile. Mai trovato un sottopasso così bello e accogliente.
Poco più avanti incrocio un ragazzo che sta correndo sotto il sole. Questo è pazzo a correre con questo caldo. Poi penso che lui avrà detto: ho incontrato una con lo zaino, quella è pazza a camminare con questo caldo.
Segovia non poteva iniziare meglio: un viale alberato e una fontana. Mi butto un po’ su una panchina.
Incontro una farmacia con fuori il suo orologio/termometro: 37.5 e qui mi sembra anche più fresco rispetto a prima.
Andando un po’ a caso, arrivo all’acquedotto. Bello.
Ho fatto bene a decidere di dormire a Segovia. Da domani si inizia con gli albergue, che mi mancano un po’, ma oggi va bene fermarsi qui.
Vado subito all’ufficio del turismo a farmi mettere il timbro, è il primo.
Dopo una doccia riesco di nuovo a ragionare.
Segovia è davvero bella. E me la giro con calma.
 

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26/08 Segovia-Santa Maria la Real de Nieva (31km)
Saluto el Acueducto, attraverso il centro ed esco dalla Puerta de Santiago, con la sua concha scolpita.
Risalgo a Zamarramala, da qui si vede bene Segovia con l’Alcazar e i sui campanili. C’è anche un albergue. Se ieri fossi arrivata fino qui non so se avrei avuto voglia di tornare a fare un giro a Segovia.
Esco dal paese e guardo davanti a me: non c’è niente. Pianura e cielo. Mi giro indietro a cercare le rassicuranti montagne.
Difficile da spiegare, ma tutta questa pianura mi fa paura. Sia in maniera razionale: cammino più facilmente quando c’è da salire/scendere e negli ultimi km di ieri ho patito il caldo. Ma anche in maniera irrazionale: sono abituata ad avere qualcosa all’orizzonte, qui non c’è.
Ma ho anche voglia di provare, di vedere com’è. E poi ormai sono qui, per cui si va.
Non fa ancora molto caldo.
Il cielo mi sembra più blu del solito. Ma non so se è per il clima, non c’è una nuvola e l’aria è secca, o se è solo una mia impressione
Cammino su stradine sterrate in mezzo a campi di grano ormai tagliato, di colore giallo/marrone.
Attraverso il primo paesino, Valseca, con la sua chiesa e la sua torre dell’acqua.
Non so se hanno un nome più tecnico, ma per me saranno un po’ il simbolo di questo cammino. Non quelle di cemento a “fungo”, ma quelle con le nervature di mattoni, piccole finestrelle tonde, tetto conico e un bitorzolino in punta. Mi daranno il benvenuto in tutti i paesini che attraverserò e mi faranno compagnia.
Campi e un altro paesino: Los Huertos. Qui c’è anche un bar, chiuso. Ma ieri ho fatto la spesa, mi basta la fontana.
Mi avvicino a un fiume, ci sono un po’ di alberi. Una lunga pista diritta a fianco degli alberi. Incrocio qualche ciclista.
Pineta. Sabbia per terra e i tronchi dei pini incisi per raccogliere la resina.
Añe. Torre dell’acqua, chiesa, poche case, Plaza Mayor.
Pausa pranzo su una panchina. Arriva un vecchietto a chiacchierare un po’. Mi racconta che hanno un albergue in paese, ne è molto fiero.
Mi spiace un po’ deluderlo, ma penso che andrò ancora un po’ avanti. E’ ancora abbastanza presto, non sono particolarmente stanca e soprattutto qui non ci sono negozi/bar, le mie scorte non sono così abbondanti.
Quando riparto ricevo il mio primo Buen Camino.
Saluto il vecchietto e Añe e dopo qualche centinaio di metri di asfalto ritrovo le stradine nei campi.
Vedo il primo trampolino: piccole ondulazioni del terreno e sembra che queste stradine diritte finiscano nel blu del cielo, che ci si debba tuffare nel cielo. Bello! Forse il sole inizia a cuocermi un po’ il cervello.
La punta di un campanile sbuca dal terreno. E’ Pinilla Ambroz. Questo paese è ancora più piccolo degli altri, ma come molti altri è dentro una conca, una depressione del terreno.
Pausa acqua/frutta secca su una panchina.
Arriva una signora e mi dice che c’è una panchina migliore, più bella e più fresca. Mi andrebbe bene anche questa, ma la seguo. Mi porta in Plaza Mayor (spiazzo sterrato di forma irregolare con qualche alberello). La ringrazio assicurandole che qui è molto meglio.
Si allontana la signora e arriva un cagnetto. Non è proprio bello, ma non glielo dico. Lo accarezzo un po’ e lui è subito a pancia all’aria. Poi si ricorda che non è qui per farsi grattare la pancia, lui è qui per vigilare sulla mia sicurezza. Si sta avvicinando un altro cagnetto, si alza, gli va incontro, lo guarda male e lo fa correre. Fatto il suo dovere torna a farsi grattare.
Ancora un po’ di campi e sono a Santa Maria la Real de Nieva. Come si può intuire dalla lunghezza del nome, questo è un paese più grande.
Chiedo per l’albergue e lo trovo al primo colpo.
Ma, c'è l’inghippo, sulla porta c’è un numero di telefono da chiamare. Lo faccio immediatamente, prima di pensarci troppo. Entro una mezzora l’hospitalero sarà qui.
Mi accuccio all’ombra.
Adesso posso dirlo, non è andata così male. Il sole picchia, ma l’aria secca rende la situazione vivibile. Un buono strato di crema ha evitato scottature e il cappellino funziona. E soprattutto la pianura non mi ha annoiato.
Arrivano 2 ciclisti. Padre e figlio colombiani. Aspettiamo insieme.
L’albergue è piccolino ma non male. Ha anche una piccola cucina.
Vado a vedere la chiesa, che è aperta. E’ grande e bella con un bel chiostro. Una cosa che mi stupisce è il pavimento: sono come dei coperchi di cassoni di legno accostati, con maniglia. Sembra di camminare su delle bare e forse è proprio così.
Con i colombiani facciamo un tentativo di chiacchierata sulla panca fuori dall’albergue, ma le mosche non ci danno tregua, allora a dormire.
 

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27/08 Santa Maria la Real de Nieva-Coca (23km)
I 2 colombiani dormono ancora. Vado a sistemare lo zaino e fare colazione sulla panca. Niente mosche a quest’ora.
Un po’ di nuvole, ma i raggi di sole sbucano: la luce è particolare.
Passo vicino ad una arena. Una corrida non andrei mai a vederla.
Scendendo leggermente arrivo a Nieva. La attraverso e proseguo.
Di nuovo in una pineta. Piste di sabbia, intagli sui tronchi e contenitori per recuperare la resina.
Questa volta me li studio per bene.
Ci sono anche delle piccole botti, probabilmente piene di resina, che aspettano di essere portate via.
Per cosa viene usata esattamente la resina dei pini? Qualcosa a che fare con qualche tipo di vernice? Mah, non ho le idee molto chiare.
Scopro di essere nella Tierra de Pinares.
Cammino abbastanza lentamente, un po’ per la sabbia, un po’ perché si sta bene qua sotto.
Ho tempo di controllare bene le impronte. Inconfondibili quelle di una lepre. Qualche piccolo uccello. Forse dei conigli selvatici. E scarponi, li riconosco, gli stessi che ho già visto ieri. C’è qualcuno che sta camminando davanti a me? Sembrano impronte abbastanza fresche. Non penso che sulla sabbia rimangano così visibili per più giorni. Il pellegrino misterioso.
Circumnavigo una grossa cava di sabbia.
Dove sono finite le nuvole? Il cielo è di nuovo blu, molto blu.
Una distesa verde davanti a me. Non è che abbia visto molto verde in questi 2 giorni. Mi avvicino, è una immensa piantagione di fragole.
Fragole non ce ne sono, ma le piantine sono loro. Mio padre è nato a San Mauro, paese delle fragole (dove adesso non penso sia rimasta neanche più una pianta), non posso non avere nel DNA il gene “riconoscimento fragole”.
Colonna sonora di oggi: “Strawberry fields for ever” di cui conosco ancora meno parole del “5 maggio” e anche la musica non è che me la ricordi proprio bene. Ma dove non so invento, tanto chi mi sente.
Nava de la Asunción. Dovrebbe esserci una chiesa molto bella, l’ho letto ieri sulla mia micro-guida. La tiro fuori per controllare. Boh, parla solo di una panetteria dove mettono il sello e offrono un dolcino. Me lo sarò mica sognato, l’ho letto da qualche parte, mi ricordo anche le parole.
Ecco, non era a Nava ma a Nieva. Mi sono persa la chiesa gioiellino, come la chiama la guida. E non è neanche un cambio di vocale né altro gioco catalogabile.
Vado a cercare la panetteria e consolarmi con il dolcino.
Non vedo panaderias ma una signora con carretto della spesa, chiedo a lei. “Devi comprare il pane?”. Penso che a causa del mio similSpagnolo non sia tanto sicura di quello che le chiesto, rispondo “Si si, pan”. “Vieni con me, sto andando alla fruteria, lo vendono anche lì”. Non oso dirle che più che il pane volevo un sello e un dolcino.
Compro pane, pomodori e un po’ di frutta, aiutata dalle signore in coda che mi consigliano sulla frutta migliore.
Niente sello e dolcino, meglio che non la legga più questa guida.
Trovo una panchina non troppo in vista e mi organizzo un pranzo più che soddisfacente. Mi consolo così della consolazione non riuscita.
Fuori da Nava campi assolati e sabbiosi. In uno c’è un’unica piantina con dei fiorellini gialli che si sforza di rompere la monotonia.
Mi rendo conto che è da un po’ che non vedo frecce. Ma ho il sole alle spalle e soprattutto ci sono le impronte del pellegrino misterioso. Sono tranquilla.
Di nuovo tra i pini e ritrovo frecce. Forse ho fatto una deviazione.
Trovo una penna nera lunghissima, potrebbe essere di una cicogna?
Arrivo a Coca. Fa caldo.
Potrei continuare ancora un po’, ma Coca mi sembra un bel posto. Mi imbatto anche nella “Casa del Peregrino” senza neanche cercarla. Mi fermo qui.
Un cartello fuori dall’albergue dice che i 2 bar dove si recuperano le chiavi sono chiusi il mercoledì. E’ mercoledì. L’altra opzione è Avenida Juan Pablo II 19. Non può essere lontano e poi quante Avenidas potrà mai avere questo paese.
La targa dice Avenida Jose Anton. E’ l’unica Avenida che trovo. Calles di tutti i tipi ma Avenidas niente.
A quest’ora non c’è molta gente in giro. Rincorro una signora che mi risponde “Bulgaria, no entiendo”. Una ragazzina sa dov’è l’albergue ma non ha mai sentito questa Avenida Juan Pablo II. Un vecchietto continua a chiedermi se sono venuta qui a cercar lavoro e non mi è di molto aiuto.
Faccio addirittura un tentativo con Internet, ma neanche lui mi sa dire niente di questa Avenida.
Vedo il numero 19, l’avenida non è quella giusta, ma potrei far finta di essere tonta e essermi confusa, sperando che mi spieghino dove andare.
Potrei, ma non è così facile. Così faccio la tonta vera, davanti a questo 19 senza fare niente.
Si apre una finestra: “Peregrina? Soy la hospitalera!”.
Un attimo dopo una signora in vestaglia e retina in testa è fuori dalla porta con un bicchierone di acqua fresca.
E’ Charo. “Oh madre mia, con este calor! Oh madre mia, con esta mochila!”
Provo a chiedere di questa Avenida Juan Pablo II. E’ questa. Le hanno cambiato nome, ma non hanno ancora cambiato le targhe. “Oh madre mia!”
Charo è eccezionale. In un attimo mi racconta tutto del paese: la chiesa, il castello, la torre di san Nicolas, il fiume, il merendero, il supermercato, qualcosa che mi perdo fatto di marmo di Carrara. Nel frattempo mi fa un mucchio di domande.
Mi è sempre più simpatica. Anche perché per ben 2 volte dice che parlo molto bene spagnolo. So che sta mentendo spudoratamente, ma mi lancio in una frase ipotetica con subjuntivo preterito y potencian, oplà! Oh madre mia! Non so mica cosa è venuto fuori.
Mi accompagna all’albergue. E’ la vecchia casa del maestro e sembra proprio una casa. I quadri, i centrini, i soprammobili. Mi fa vedere tutto. Ne va molto fiera, soprattutto del microondas e della nevera, con l’acqua fresca che cambia tutte le mattine.
Per dovere di cronaca devo dire che ci sarebbe stato un modo molto semplice per recuperare le chiavi. Ma non per me.
Quando il sole cala leggermente faccio un giro. C’è un castello imponente e molto bello. La chiesa è aperta, come Charo mi aveva detto, e poi le stradine con le casette basse. Mi piace Coca.
Ho appena finito di cenare quando Charo viene a vedere se va tutto bene. E’ molto contenta che abbia usato la cucina per mangiare. Mi racconta dell’albergue, di chi ci è passato, del paese. Che personaggio.
Ancora un giro a vedere il castello illuminato, su consiglio di Charo. Poi a dormire nella casa del maestro, che per stasera è casa mia.
 

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28/08 Coca-Alcazarén (25km)
Uscendo da Coca bisogna scendere un una piccola valle e poi risalire.
Il sole è ancora basso, dietro Coca, si vede il profilo degli edifici in controluce.
Vedo una cosa strana. La mia ombra non è più attaccata ai miei piedi. Torna qui, dove pensi di andare? Mi sa che non mi sopporta più neanche lei.
La fotografo, nel caso decidesse di abbandonarmi definitivamente almeno avrò un ricordo.
L’inclinazione del sole, leggermente più in basso di dove mi trovo, crea questo effetto abbastanza buffo.
Dopo poco si rende conto che senza di me non ha futuro. E’ di nuovo attaccata ai miei piedi.
Piste di sabbia dentro o ai bordi di pinete. Ritrovo le impronte del pellegrino misterioso.
Davanti a me vedo una coppia in lontananza.
Il pellegrino misterioso?
Accelero un po’. Sono un uomo e una donna, lei è alta e bionda. Decido che sono tedeschi.
Prima che li raggiunga si infilano tra gli alberi e si siedono su un tronco. Ci scambiamo un Buen Camino da lontano.
Le impronte del pellegrino misterioso continuano. Non erano loro. Non so bene perché, ma sono contenta.
Villeguillo. Colacao e tostadas in un bar deserto che sta aprendo adesso.
Campi sabbiosi e pinete si alternano.
Un paesino con la sua torre dell’acqua e campanile rimane sulla sinistra.
Uno di quei mostri giganteschi che servono per irrigare. Se l’avesse visto Don Quijote, per cosa l’avrebbe preso? E parto con le teorie più strane.
A proposito: anche a me è sempre stato più simpatico Sancho Panza.
Un centinaio di metri di Carretera prima di infilarsi di nuovo in una stradina tra i campi. La freccia non è troppo evidente, la noto all’ultimo momento.
Accidenti, il pellegrino misterioso non l’ha vista. Ritroverò le sue impronte parecchio più avanti.
Pausa pranzo sotto i pini. Passano i tedeschi, altro Buen Camino.
Sotto un cielo blu-blu, arrivo a Alcazarén. Mi fermo, prima di arrostirmi completamente.
Chiavi al Bar Real. Lo trovo facilmente, ma è chiuso.
Vado all’Ayuntamiento. L’impiegata non ha le chiavi, devo andare al Bar Real. E’ chiuso. Impossibile è sempre aperto. Aveva catena e lucchetto. Telefona, le confermano che è chiuso per ferie. Convince, un po’ a fatica, il signore a cui telefona ad aspettarmi davanti all’albergue con le chiavi.
Cerca di spiegarmi dov’è ma dopo un po’ di izquierda y derecha non ci capisco più iente. Mi spedisce: meglio se vado al Circolo Pensionati e me lo faccio spiegare lì.
Ci si mettono in 3 a spiegarmi dove andare, ma hanno idee discordanti, non ci arriverò mai. Alla fine si alza un quarto, mi fa cenno di seguirlo e mi porta lì davanti.
E con un po’ di fatica sono in albergue anche oggi.
E’ nuovo, con tutto quello che serve. Abbastanza ben tenuto (tranne la porta del bagno che ha una chiusura “a sedia”, per tenerla chiusa bisogna appoggiare una sedia). Ma mi sembra che manchi un po’ di carattere.
Ci sono 2 zaini: i tedeschi.
Dopo poco arrivano, erano andati a mangiare qualcosa.
Scopro che non sono tedeschi, ma di Madrid.
Stanno facendo il cammino a tappe, quando hanno un paio di giorni liberi ne fanno un pezzettino.
Stiamo un po’ a chiacchierare.
Quando la temperatura è più umana vado a fare un giro per il paese.
Ci sono 2 chiese, una grande e chiusa e un’altra di cui è rimasto solo un bel abside di mattoni. Una terza è appena fuori, con la sua torre dell’acqua vicino.
Mi piace l’Ayuntamiento.
Cena molto presto al Circolo dei pensionati, poi chiude. Tortilla di “tutto un po’” (niente male) con patatine omaggio.
Sosta sulle panchine della piazza e piacevole chiacchierata con gli ex-tedeschi.
Ci godiamo un bel tramonto.
 

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29/08 Alcazarén-Puente Duero (26km)
Ci prepariamo colazione e la mangiamo nel portico davanti all’albergue.
Peccato che il pezzetto di cammino di Maricielo e Manuel finisca oggi. Mi ha fatto piacere incontrarli.
Riparto con sabbia e pini.
Cerco le tracce del pellegrino misterioso: ci sono.
Una Resineria. E’ qui che finisce la resina che raccolgono.
Si scende verso un fiume. Lungo la riva c’è un’area attrezzata con tavoli e panche sotto gli alberi. Piccola sosta.
Stradina quasi bianca, campi quasi marroni, cielo blu senza quasi. Non mi serve altro.
Valdestillas. C’è una chiesa massiccia che mi fa pensare a un forte. Vorrei vederla dentro, ma è chiusa.
Due bambini in bici si incuriosiscono e fanno domande.
Uno conosce una parola in italiano ma non si ricorda più quale. Dopo un po’ di tentativi da parte mia (la probabilità di indovinarla non è molto alta), gli viene in mente che vuol dire “tomate”. Pomodoro? Sì sì. Pomodoro! Pomodoro! Pomodoro!
Mi racconta che è nato in Romania, ma vive qui da tanto.
Mi accompagnano a cercare una fontana.
Quando li saluto partono in bici urlando: Pomodoro!
Il tratto seguente è il più brutto che ho percorso fino qui. Un po’ di fianco, un po’ lungo una strada abbastanza grande, anche se non trafficatissima.
Vedo un cerbiatto morto in un fossato, probabilmente investito da una macchina e poi spostato lì. Questo non migliora l’atmosfera.
Quando non mi piace dove cammino, il caldo mi dà molto più fastidio.
Arrivo a Puente Duero. E’ abbastanza presto, ma sono un po’ cotta e poi sembra che questo albergue sia davvero speciale. Mi fermo qui.
Seguo le frecce e arrivo. Liscio come l’olio questa volta.
Casetta di legno allegra e colorata. Busso, mi apre Arturo.
In un attimo mi offre acqua, tè freddo, pesche dell’albero, pomodori dell’orto, fagioli e chorizo.
Mi fa vedere giardino e orto.
Mi racconta degli italiani che sono passati di lì, dell’albergue, degli hospitaleros.
Mi regala scudetto e cartoline dell’Associazione del Cammino di Valladolid.
E’ gentilissimo e simpatico, ma… quando qualcuno si “occupa” troppo di me mi agito. Meglio se mi prendo una pausa.
Vado a vedere il paese e scopro che non esiste. Sono solo case lungo una strada. E’ quasi periferia di Valladolid. Però il ponte è bello. Mi fermo un po’ lungo il fiume.
Anche con la cena riesco a fare un po’ di casino. Me ne arrivo con un pacco di pasta che non serve e forse mangio anche qualcosa che non era destinato a me.
Sono un po’ un disastro. Non mi piace, ma non riesco a fare meglio.
Per fortuna arrivano 2 ragazzi a trovare Arturo, almeno ha qualcuno normale con cui parlare.
Prima di andare a dormire vado a vedermi un po’ di nuvole. Hanno un bel colore.
 

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30/08 Puente Duero - Peñaflor de Hornija (26km)
La colazione va molto meglio della cena di ieri. Non faccio nessun casino, o almeno non me ne accorgo.
Marmellata di pesche dell’albero e pane buonissimo.
Saluto Arturo e lo ringrazio. Ottimo hospitalero, malgrado me.
Sta mattina c’è una novità: un po’ di nuvole.
Inizio ancora tra i pini.
Una serie di conigli selvatici con la loro codina bianca che corrono qua e là. Buffi.
Malgrado parecchi tentativi non riesco a fotografarne decentemente neanche uno.
Si segue il fiume, anche se non sempre visibile.
Un piccolo mulino a vento.
Simancas. Bellissimo e lungo ponte e il paese su un cucuzzolo. Mi piace molto.
All’inizio del ponte 2 profili di lamiera indicano il paese. Ne vedrò molti oggi, con lo zaino, in bicicletta, col passeggino, col cane, allacciandosi la scarpa. Indicano il cammino. Sono simpatici.
Salgo e giro un po’ per il paese. Bello. La chiesa, il castello, le piazze, le viuzze strette.
Una piccola panetteria. Malgrado abbia fatto colazione da poco, mi compro una “caracol” con l’uvetta ancora calda e un po’ di scorte per oggi. Qui il pane è proprio buono.
Leggo la leggenda delle 7 ragazze che si tagliarono la mano sinistra per non essere date a non so più quale re. Di qui il nome di Simancas. Capisco il motivo di tutte queste mani scolpite e disegnate per il paese.
Quanti paesi interessanti sto incontrando.
Un tratto un po’ ondulato in mezzo ai campi. Cammino bene.
Spunta un campanile. Sto per arrivare a Ciguñuela.
Prendo l’acqua alla fontana. Ha una pressione pazzesca, mi lavo completamente e faccio fatica a riempire la borraccia.
Salgo alla chiesa. Mi asciugo un po’ su una panchina. Si sta bene, paesino tranquillo, non si sente nessuno. Ci rimango un po’.
Uscendo dal paese vedo l’albergue, anche lui nella casa del maestro. Sembra carino.
Ancora stradine tra i campi, adesso è di nuovo tutto in piano. Sempre guidata dalle figure di lamiera.
Altro campanile che spunta, altro paese in una conca.
Sono a Wamba!
Già il nome mi fa un po’ ridere, poi all’ingresso c’è anche un monumento a qualcuno che sembra un vichingo.
Scopro che è Wamba, re Visigoto da cui il paese ha preso il nome.
Mi diranno poi che è l’unico comune in Spagna che contiene la lettera W.
Arrivo davanti alla chiesa, che è una delle più antiche della zona.
Riesco ad entrare perché c’è un gruppo di persone che la sta visitando. Ma stanno uscendo, do solo una rapida occhiata. Forse chiedessi alla signora con le chiavi se posso fare ancora un giro me lo lascerebbe fare. Ma non chiedo ed esco anch’io. Senza vedere la cappella con teschi e ossa.
Pausa spuntino all’ombra, in Plaza Mayor naturalmente.
Mi piace anche Wamba.
Risalgo fuori dalla conca.
Le nuvole se ne sono quasi completamente andate. Il sole c’è e si sente.
Faccio un giro completo su me stessa e le uniche cose che vedo spuntare sono un paio di piccoli mucchietti di pietre, probabilmente tolte dai campi. Il resto è completamente piatto e brullo.
Wow! Non l’avrei mai detto, ma è una bella sensazione. Niente, nessuno, da nessuna parte. Sarà la mia parte asociale che si trova così bene?
Riparto a camminare addirittura ridendo un po’ da sola (mi sa che il sole mi ha definitivamente cotto quel po’ di cervello che mi ritrovo).
Inizio a vedere Peñaflor. Laggiù.
Prima depressione/valle da superare. Ho letto che ce ne sono 2. Non la vedi finché non ci sei sopra. Non è molto profonda. Un po’ di discesa e salita servono a cambiare un po’ il ritmo.
Ormai sono quasi al paese, la seconda me la sarò persa? Invece no, mi appare all’improvviso. Questa è più ampia e profonda. Il paese è quasi come un castello medioevale contornato da un grosso fossato. Stranissimo.
Scendo e risalgo.
L’albergue lo trovo subito. Per le chiavi vado al bar, mi portano da una signora che viene ad aprire.
E’ stato appena ristrutturato, aperto a fine maggio, molto bello.
Entriamo e l’antifurto inizia a fare dei suoni. Non forti ma abbastanza fastidiosi.
La signora sa cosa fare: va a un tastierino e digita un numero. L’antifurto parla, non capisco cosa dice (e neanche la signora) ma parla e soprattutto non smette di suonare.
Riprova. Stesso risultato. La signora inizia a rispondere all’antifurto. Da quello che capisco non in maniera molto gentile.
Terza prova. L’antifurto continua a parlare incomprensibilmente, ma molto gentilmente. La signora perde le staffe e gliene dice di tutti i colori. L’antifurto non fa una piega.
Si va a chiamare l’alcade. Lui sa cosa bisogna fare. Stessa scena. Al terzo tentativo partono gli insulti.
Proviamo a vedere se chiudendo la porta del dormitorio il suono dà molto fastidio. No, posso sopportare. Ha vinto lui.
Quando esco dalla doccia c’è silenzio. Secondo me si diverte a farli arrabbiare.
Per cena mi mangio una tortilla de patatas fantastica, pane e pomodori al bar del paese. Ho la maglietta #2, che ottiene la sua macchia #2. Quello che mi disturba è che non è per niente simmetrica alla prima.
Vado a vedere il tramonto su una panchina. Un vecchietto viene a sedersi di fianco a me. Mi chiede se mi piace. Sì. Anche a me.
Faccio due passi intorno al paese. Incrocio una signora che sta portando una signora anziana su una sedia a rotelle. Saluto. Sei all’albergue? Sì. Hai voglia di fare un giro per il paese? Certo!
Mi racconta delle mura che lo circondavano, dei campi di grano che una volta erano quasi tutti vigneti. Andiamo a vedere le bodegas scavate nel terreno, ora non contengono più botti, ma le usano per ritrovarsi. Mi viene offerta un pezzo di carne alla brace. Le case che hanno un piano nella terra e uno fuori. Mi dice un mucchio di altre cose.
L’unica cosa che mi preoccupa un po’ è che trascina questa sedia a rotelle ovunque. In alcuni momenti ho paura che si ribalti. O la parcheggia in posti strani. Ma mi assicura che è tutto normale. Anche la signora anziana dice che ci è abituata.
Alla fine le ringrazio entrambe. Mi è piaciuto.
Prima di andare a dormire mi fermo ancora un po’ sotto il mandorlo del patio dell’albergue. Bella giornata.
Però qualcosa di negativo lo devo trovare, se no sembra finto. L’albergue è sulla piazzetta dove i ragazzini si ritrovano. Parte del gioco consiste nel suonare il campanello e scappare. Mi svegliano un po’ di volte, ma mi riaddormento subito.
 

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31/08 Peñaflor de Hornija - Medina de Rioseco
(24km, con la deviazione per La Santa Espina diventano circa 34, con l’errore finale siamo intorno ai 40)
Esco da Peñaflor scendendo nella valle e risalendo dal lato opposto.
Sono in mezzo alle pale eoliche. Non mi creano problemi, anzi non mi dispiace il fruscio che fanno.
Cielo blu-blu e pianura.
E’ da ieri che non vedo tracce del pellegrino misterioso. Mi sa che si è fermato a Valladolid. Peccato, mi faceva compagnia.
Deviazione per la Santa Espina. Allungo la tappa di una decina di km, ma penso valga la pena. Vado.
Il percorso non è molto segnato, però le frecce necessarie ci sono.
Prima campi, poi un tratto vicino a cespugli e alberelli.
Vedo spuntare dagli alberi il monastero. Sì, è stata una buona idea.
Entro nel giardino, manca poco alle 10. Non c’è nessuno ed è tutto chiuso. No, sono arrivata fino qui, vorrei almeno dare un’occhiata dentro.
Giro intorno alla chiesa è trovo una porticina laterale aperta.
Non sono sicura sia permesso entrare, faccio 2 passi dentro e vedo un signore che sta accendendo le candele. Mi avvicino e lo saluto, se non posso entrare me lo dirà. Non mi dice niente.
L’interno mi piace, scuro, ma bello. Me ne sto un po’ lì. Ci sono solo io, non vedo neanche più l’accenditore di candele. Atmosfera particolare.
Mi avvicino alla porta per uscire ed è chiusa, chiusa a chiave. Mi ha chiuso dentro. Lo sapeva che ero lì.
Provo dalla porta principale ma è chiusa anche lei. Inizio ad irritarmi un po’.
Mi infilo in una stanza laterale, qualcosa tipo sacrestia, dove non si vede quasi niente. C’è una porta, a tentoni trovo un chiavistello, apro e mi ritrovo in grande chiostro. Una porta a vetri apribile dall’interno e sono fuori.
Leggo che le visite iniziano alle 12. Beh, se non trovavo la porta dovevo stare lì dentro solo un paio d’ore.
Decido di ripartire, prima di infilarmi in qualche altro guaio.
Dovrebbe esserci una stradina che arriva a Castromonte. Una stradina la trovo, la direzione mi sembra buona, ma frecce non ne vedo. Decido di provare lo stesso.
Per un po’ segue la valle: un po’ di verde fa piacere. Poi sale nei campi. Indicazioni niente, ma da qualche parte arriverò.
Un campanile in lontananza, Castromonte, e vai!
Arrivo mentre stanno uscendo da messa. Sto per entrare in chiesa quando vedo una persona che inizia a chiudere le porte. Meglio lasciar perdere, se mi chiudono dentro, qui rischio di rimanerci una settimana.
Un gruppetto di bambini mi fa un po’ di domande.
Al bar c’è tutto il paese, ho ancora un avanzo di pane di Simancas e frutta secca, mi arrangio così.
Un tratto fresco con un po’ di alberi, poi sbuco di nuovo nei campi e nel nulla.
Sulla sinistra, ma parecchio lontano, c’è la strada, ogni tanto si vedono le macchinine piccole piccole. Poi spariscono anche loro.
Sono in mezzo a campi e cielo quando nella mia mente si forma questa frase: “Questo è un cammino che piacerebbe a Ermanno”. Non stavo pensando a Ermanno, non stavo pensando al cammino, non riesco a trovare nessun aggancio che possa aver fatto scattare questa frase. Mi guardo intorno, non c’è proprio niente.
Conosco Ermanno principalmente per le cose che scrive, probabilmente “qualcosa” mi ha ricordato qualcosa che ho letto. Ma tutto a livello totalmente inconscio.
Ermanno, quando farai questo cammino (non so perché, ma do per scontato che lo farai), se ti capitasse di vedere (o sentire o… boh) qualcosa di particolare tra Castromonte e Valverde, nel rettilineo dopo la curva a destra, fammi sapere cos’è.
Vado avanti. Che la causa di tutto sia il sole che mi picchia in testa?
Valverde. Anche lui dentro una conca. Sembra un paese fantasma. Non si vede nessuno. Charo direbbe: “Oh madre mia, con este sol!”.
Anche il bar è chiuso. Oggi vado avanti a pane duro e frutta secca.
Arrivo sulla carretera. 2 frecce, una indica sicuramente la carretera, l’altra è un po’ vaga. C’è una stradina sulla destra. Faccio questo ragionamento: le bici dovranno seguire la carretera, i pedoni prendere la stradina. Risalgo fuori dalla conca e sono di nuovo in mezzo ai campi.
Ci sono chiari indizi che dovrebbero farmi sospettare di aver sbagliato: non ci sono frecce e il sole non è nella posizione solita. Ma mi do una serie di spiegazioni poco plausibili e continuo.
La stradina finisce in una carretera. Ma è alla mia destra, quella che ho lasciato era alla mia sinistra. Fosse lei dovrei andare ancora a destra, ma a questo punto il sole sarebbe dalla parte opposta, non può essere lei. E se non è lei perché le bici vanno su una e io su un’altra? E poi quella freccia non è che indicasse proprio la stradina. Mi sa che devo arrendermi, ho sbagliato. Torno indietro.
Ho appurato una cosa però, avere il sole in faccia fa sentire più il caldo rispetto ad averlo alle spalle. Altra cosa positiva di questo cammino.
Carretera fino a Rioseco. Tratto più lungo di asfalto fatto fino ad ora.
L’albergue del convento di Santa Clara è all’ingresso del paese. Lo vedo subito.
Mi accoglie Sor Piedad. E’ molto agitata, a causa di una “boda de plata”. Mi chiede se so cosa vuol dire, cerco di mimarle “nozze d’argento”, lasciamo perdere…
Doccia e vado a cercare qualcosa da mangiare.
Nel paese c’è una festa medioevale o qualcosa di simile. Un mucchio di gente, personaggi in costume, bancarelle ovunque.
Quando torno all’albergue il parcheggio è pieno di macchina. Ci sono addirittura i vigili. Quanti invitati per questa “boda de plata”.
Intanto è arrivata una coppia in bici, stasera non sono sola!
Cristina e Ruben. Mi spiegano che è Sor Piedad che festeggia la sua “boda de plata”, 25 anni da quando ha preso i voti. C’è anche il vescovo. Non avevo capito niente.
Nel cortile ci sono dei tavoli con un po’ di roba da mangiare. Veniamo invitati anche noi.
Una signora rimane molto stupida dal fatto che i miei piedi sono interi. Non avessi l’abbronzatura da calzetta, non ci crederebbe che arrivo da Madrid. Indica i miei piedi a tutti. Se non la smettono domani mi verrà una vescica gigantesca.
Finiti i festeggiamenti rimango con Cristina e Ruben. Sono di Valladolid, partiti oggi, destinazione Santiago.
Chiacchieriamo finché il sonno non ha la meglio. Cristina fa anche la caricatura di tutti e 3 sul libro dell’albergue. Ci voleva una serata così.
 

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01/09 Medina de Rioseco-Villalón de Campos
(27km + qualcosa per la variante del Canal, forse)
Mi alzo con Cristina e Ruben, un po’ più tardi del solito.
Le operazioni di pagamento si fanno tramite la ruota. La cosa è un po’ macchinosa, prima non esce la scheda di Ruben, poi non arriva la mia carta d’identità.
Risolto tutto, ringraziamo e salutiamo. “No, aspettate che vengo a salutarvi” ed esce Sor Piedad.
Ci saluta, ci consiglia di fare la variante del Canal e dove andare a fare colazione. Molto più rilassata di ieri.
Ma, se poteva uscire, perché abbiamo dovuto fare tutti quei passaggi con la ruota? Mah…
Colazione: il mio solito Colacao. Commento di Ruben: come i bambini!
Ce la prendiamo comoda. Poi mi tocca fare un balletto con loro all’uscita del paese. Poi i saluti.
Parto alle 9 abbondanti. Ma va bene così. Cristina e Ruben sono stati un bell’incontro.
All’ombra degli alberi lungo il canale si cammina proprio bene.
Un po’ di tabelloni che spiegano il funzionamento delle chiuse. Non me li perdo di sicuro.
Abbandono il canale e ritorno tra i campi assolati.
All’ingresso di Tamariz de Campos c’è un rudere di una torre, abbastanza alta. Sopra ci sono le cicogne.
Sto un po’ a guardarle e loro mi regalano un volo nel cielo blu-blu.
Per arrivare a Cuenca de Campos c’è una strada asfaltata, ma non passa neanche una macchina.
A Cuenca mi fermo a mangiare qualcosa, in compagnia di un topino che fa un po’ di volte avanti e indietro lungo il bordo del marciapiede di fronte alla mia panchina.
Poi stradine bianche e diritte, campi e cielo.
Il terreno è leggermente ondulato. Trampolini per tuffarsi nel cielo uno dietro l’altro. Mi piacciono.
Arrivo a… Cuenca de Campos?! Ma allora il paese di prima cos’era?
A causa della deviazione del Canal devo aver fatto un po’ di confusione. A questo punto non sono neanche così sicura che Tamariz fosse davvero Tamariz. Ma fa niente. Questo è il vero Cuenca, c’è scritto.
Mi allungo un po’ su una panca di pietra all’ingresso della chiesa. L’unico posto all’ombra che trovo. Qui sotto fa fresco e ho un’ottima vista sul cielo.
La chiesa potrebbe essere bella anche dentro, ma è chiusa.
Per arrivare a Villalón seguo una stradina pedonale che porta a un’ermita.
Ho l’impressione che qui passi la processione quando c’è la festa dell’ermita. Ma non ho nessun motivo valido per pensarlo. Solo un’impressione.
Arrivo a Villalón. C’è un fortissimo odore di formaggio.
L’albergue è al fondo del paese. Mi va bene, devo chiedere solo una volta per arrivarci.
Niente chiavi, c’è l’hospitalero.
Suono, apre e mi chiede: sei Lia? Sì. Ho incontrato 2 ragazzi in bici e mi hanno detto che saresti arrivata. Cristina e Ruben! Sono passati verso l’una.
C’è un gruppo di 7 ciclisti che stanno dormendo. Solo più qualche letto in alto. Ma non è un problema.
Quando esco dalla doccia trovo Cristina e Ruben seduti con l’hospitalero.
Que pasó? Ruben mi fa vedere una gamba fasciata. Gli è caduta la bici addosso mentre prendeva qualcosa dalla borsa posteriore e il pedale gli ha fatto un bel taglio sulla gamba.
Sono tornati indietro e al Centro de Salud gli hanno dovuto mettere qualche punto. Niente di grave ma non deve muoverla troppo per qualche giorno. Fine del cammino, per ora.
Stanno aspettando il fratello di Cristina che viene a recuperarli con la macchina.
Sono un po’ giù, soprattutto Ruben. Mi spiace.
Sto con loro fino all’arrivo del fratello.
I ciclisti hanno monopolizzato un po’ l’albergue, d'altronde sono in 7.
Faccio un po’ di spesa e mangio qualcosa prima che inizino a cucinare loro.
Giro per il paese. C’è un negozio che vende sottaceti di tutti i tipi. Un altro con grappoli di peperoni rossi appesi ovunque.
La chiesa è aperta perché c’è il coro che sta provando.
Una bella Plaza Mayor e il monumento alla “quesera”, il formaggio deve proprio essere tipico di questo posto.
 

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02/09 Villalón de Campos-Melgar de Arriba (25km più o meno…)
Sveglia silenziosa. Non accendo neanche la pila. Recupero le cose già preparate ieri sera e vado a sistemare tutto di là.
Sto per uscire dal dormitorio in punta di piedi, quando suonano 7 sveglie a tutto volume, luci accese e… se aspettavo 5 minuti potevo evitare di fare le cose in silenzio e al buio.
I 5 minuti di vantaggio però mi permettono di prepararmi colazione con calma prima che la cucina venga occupata.
L’hospitalero mi avvisa che per i primi km incontrerò solo campi. Né paesi, né alberi, né niente. Dice che è un tratto senza tentazioni, non si può far altro che camminare. La definizione mi piace. Anche se non è proprio una novità, mi sembra che questo cammino non sia così avaro di tratti di questo tipo.
Saluto i ciclisti, che probabilmente percorrono le statali, perché non mi hanno superato ieri né mi supereranno oggi.
Sole ancora molto basso, ombre lunghe e colori più tenui.
Arrivo tranquillamente a Fontihoyuelo, paesino piccolo piccolo.
Mi fermo a mangiare un platano in un giardinetto con dei giochi per bambini. Controllo per bene che non ci sia nessuno in vista e mi faccio anche un giro sullo scivolo. Attacco di scemenza.
Un po’ di campi di girasoli, ormai quasi tutti secchi.
Scopro che le piccole costruzioni a pagoda che avevo già visto ieri sono dei palomares, per l’allevamento di colombi. E mi viene in mente Cristoforo, soprannominato GruGru.
Stradine, campi, cielo: testa svuotata e calma.
Santervás de Campos, qui mi tocca pensare e prendere una decisione.
Ma prima vado a vedere la chiesa, che rimane un po’ in alto, come una rocca che controlla la pianura.
Mi siedo per terra, contro il muro, all’ombra.
Posso arrivare a Sahagún o fare una deviazione e fermarmi a Melgar, dove c’è un albergue.
Voglio ancora un giorno intero di Camino de Madrid. Vado a Melgar. Facendo così probabilmente non riuscirò ad arrivare sabato ad Astorga. Poco male arriverò dove arriverò. Oggi ho ancora voglia di un piccolo paese con un albergue quasi sicuramente vuoto.
Allora via! Campi e trampolini.
Una lepre mi schizza davanti correndo per il campo.
Un grosso gregge di pecore con qualcosa di colorato vicino. Alla fine decido che è una persona sotto un ombrello giallo e nero. Ma la strada non si avvicina abbastanza per confermarlo, potrebbe essere di tutto.
Melgar. E’ su un piccolo cucuzzolo, mica per niente si chiama de Arriba.
Plaza Mayor la trovo subito, ma non ho idea di dove sia l’albergue e neanche vedo il bar dove dovrei recuperare le chiavi.
Ayuntamiento chiuso e nessuno in giro. Mi preparo a una serie di giri a caso, ma sento una tapparella. Una signora si affaccia, mi ha visto da dentro. L’albergue ce l’ho davanti, non avendo insegne non l’ho riconosciuto, e mi spiega dov’è il bar. In pochi minuti sono dentro.
L’albergue non è male, la cucina sotto e 3 camerette sopra. Pulito, ma con l’aria un po’ abbandonata. Ho l’impressione che di qui non passi molta gente.
E’ ancora abbastanza presto, per cui aspetto che il sole cali un po’ prima di fare un giro per il paese.
Chiedo a una signora se c’è un negozio di alimentari. C’è solo una panetteria, mi spiega perfettamente dov’è, però poi aggiunge che è aperta solo la mattina.
Al bar mi dicono che se passo più tardi qualcosa da mangiare me lo preparano.
Tra cui del formaggio con la cotognata, accidenti se mi piace questo abbinamento. E faccio un figurone perché so cos’è il membrillo.
Mi faccio mettere il sello. Notano quello di Puente Duero, conoscono Arturo. Mi confermano che qui non passano in molti. I ciclisti, che sono la maggioranza, vanno direttamente a Sahagún, senza fare questa deviazione, e a piedi non c’è molta gente.
Vado sotto la torre dell’acqua. C’è anche una panca. Mi fermo un po’. Mi sembra il posto perfetto per l’ultima sera sul cammino de Madrid.
 

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03/09 Melgar de Arriba-Calzadilla de los Hermanillos (28km più o meno…)
Lascio chiavi e donativo nella buca delle lettere dell’Ayuntamiento e saluto anche Melgar con la sua torre dell’acqua.
Non vedo frecce. Ho un’idea della direzione dove devo andare e mi infilo nella prima stradina nei campi che va in quella direzione. Poi prendo come riferimento il terrapieno della ferrovia che so di dover attraversare e vado.
C’è qualche nuvola, la luce mi sembra leggermente diversa e il cielo solo blu, non blu-blu. Chissà se è davvero così o è solo una mia impressione perché sto “cambiando” cammino.
Grajal de Campos con il suo castello. Quadrato, massiccio, quattro torri merlate agli angoli. Quando penso a un castello lo immagino così. Faccio un giro intorno.
Plaza Mayor con Ayuntamiento e una chiesa, anche lei bella imponente. Il campanile è particolare. Interessante anche questo paese.
Trovo un bar ma è chiuso. Non è così presto, forse perché è mercoledì?
Uscendo dal paese mi guardo intorno per capire da che parte andare, una signora mi vede e mi indica la direzione per Sahagún. Finisco su una statale grande e trafficata. No, mi sa che la signora non ha considerato che ci devo andare a piedi.
Torno indietro facendo un giro largo per non incrociare di nuovo la signora e dopo qualche tentativo ritrovo addirittura le frecce.
Di nuovo nei campi.
Qui dovevano esserci le vigne una volta, vicino a un canale d’irrigazione c’è ancora qualche vite che striscia sul terreno.
Sahagún si avvicina. Vedo la sua torre dell’acqua, di tipo vecchio, ma alta il doppio di quelle che ho visto fin qui.
Strana sensazione, e adesso? Io che sono allergica alla pianura e preferisco salire e scendere, che ai rettilinei preferisco le curve perché così ho la curiosità di vedere cosa c’è dietro, che patisco il caldo, mi sono affezionata tantissimo a questo brullo, piatto, assolato cammino. Più di quanto potessi immaginare. Mi spiace lasciarlo.
Entrando a Sahagún passo vicino al convento de San Francisco. E’ aperto per una mostra e vado a dare un’occhiata. Chiedo alla ragazza della biglietteria se può mettermi un sello. Scoperto che arrivo da Madrid, mi racconta della statua della Virgen Peregrina che è arrivata qui proprio seguendo questo cammino.
La targa che indica la metà del cammino Francese. Me la ricordo, sono passata qui nel 2010.
Seguendo la stradina di fianco alla carretera arrivo a Calzada del Coto. Prendo la deviazione della calzada romana. Mi sembra un buon modo per entrare nel Francese poco per volta, di qui dovrebbe esserci meno gente. Poi per me è nuovo, l’altra volta ero passata da Burgo Ranero.
Mi proibisco di fare paragoni con i giorni scorsi, sto continuando a camminare. Facile dirlo, non tanto farlo, ma ci provo.
Mi fermo un po’ sotto un albero. Passano un po’ di gruppetti. Quattro, cinque persone insieme, anche di più, nessuno da solo.
Arrivo all’albergue di Calzadilla.
L’hospitalero è di Madrid e quando scopre che arrivo di lì si incuriosisce, non ha mai sentito parlare di questo cammino.
Dopo doccia e incombenze varie mi siedo al tavolo dove ci sono 4 persone che chiacchierano. Mi chiedono de parlo francese. Purtroppo no. Inglese. Sì un po’. Va bene, noi lo parliamo bene.
Però ricominciano a parlare francese tra loro.
Dall’altro lato della panca si siede una coppia, dopo il primo saluto iniziano a parlare in una lingua strana (olandese forse?).
Sono lì in mezzo, non so bene cosa fare. Non ho neanche niente da leggere, da guardare. Mi sento scema.
Vorrei andarmene, ma non è così facile, sono incastrata. Se almeno qualcuno si girasse leggermente verso di me potrei fargli capire che voglio alzarmi. Ma sono così presi dalle loro conversazioni.
Penso di scivolare sotto il tavolo e uscire così, ma davanti ho 2 dei 4 francesi, finirei sui loro piedi.
Cerco di capire cosa dicono i francesi, con gli olandesi non ho speranza. Stanno parlando di italiani e spagnoli che non sanno le lingue.
Mi alzo in piedi, nessuno lo nota.
Aaargh… sono in trappola.
Mi metto a fissare gli olandesi, sento che ho più possibilità da questo lato. Alla fine riesco a catturare lo sguardo di lui e chiedo se mi possono far passare.
Esco fuori. Che disastro che sono. Maledizione.
Vado a farmi un giro che è meglio.
Sto iniziando a formulare una teoria su me e gli albergue quando 2 signore mi chiedono se so dov’è il negozio. Sì, vi accompagno. La teoria può aspettare.
Sono irlandesi. Scambiamo un po’ del loro riso alle verdure con un po’ del mio pane e del mio formaggio. Parliamo della penisola di Dingle. Neanche loro sanno niente del “Kerry Camino”, sono di Galway, non così lontano, la cosa le incuriosisce, si informeranno. Mi fanno vedere la credenziale richiesta a St. James a Dublino, ho ancora sulla macchina fotografica la foto della concha sul muro di St. James, gliela faccio vedere. Gli racconto di Free e del suo cammino.
Andiamo a fare 2 passi per il paese. C’è un signore che setaccia quello che è rimasto per terra dopo la mietitura, per recuperare i chicchi dimenticati. Parliamo un po’ con lui. Mi immedesimo nel ruolo di interprete, con risultati abbastanza buffi.
Loro non lo sanno, ma hanno trasformato una serata iniziata male e che rischiava di finire anche peggio, in una sicuramente piacevole. Grazie.
 

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04/09 Calzadilla de los Hermanillos-León (35km)
Sento gente che si alza e luci che si accendono, ma nascondo la testa nel sacco a pelo e mi riaddormento in attesa della mia sveglia.
Quando suona scopro che della ventina di persone che eravamo siamo rimasti in 3.
C’è il vantaggio che posso prepararmi e mangiare colazione in tutta comodità.
L’hospitalero mi spiega che non incontrerò paesi fino a Reliegos.
Parto e riesco a vedere ancora l’alba appena fuori dal paese.
Stradina, campi, cielo, ma qualche persona in più. Ogni tanto qualche gruppetto mi raggiunge, ogni tanto ne raggiungo io qualcuno.
Faccio un tratto con una ragazza, anche lei irlandese. Questo dev’essere l’anno degli irlandesi.
Mi rendo conto che avere persone davanti e dietro mi fa andare più veloce del solito. Cerco di ritornare al mio solito passo.
Il bivio per Reliegos non lo considero, continuo diritto. Tanto ormai riesco a vedere la fila degli alberelli lungo la strada sulla sinistra. Non mi perdo.
Campi con alcuni grossi irrigatori in funzione.
Vedo qualcosa di recintato che assomiglia ad una cava. Non so se dopo riesco a raggiungere la strada con gli alberelli, allora lo faccio prima.
Ma ormai manca poco a Mansilla de las Mulas. E per fortuna, perché questa stradina a fianco della carretera, con questi alberelli che sembra non ce la facciano a crescere, mi mette un po’ di tristezza.
Mi fermo sulla piazza, ci sono zaini e un gruppetto di persone sulle panchine. Dopo un primo saluto, a me non viene in mente niente di interessante da dire e loro non dicono niente a me. Vado, prima che inizi a deprimermi.
Compro un po’ di frutta che mangio lungo il fiume.
Lungo la strada verso Puente Villarente mi raggiunge un ragazzo. Dopo aver parlato un po’ in inglese, scopriamo che in italiano facciamo meno fatica. E’ Lucio, di Firenze, chiacchieriamo un po’. Così questo tratto, lungo la carretera, non molto interessante, passa piacevolmente.
Scopro che c’è una nuova passerella, non si passa più sul ponte.
Lucio si ferma per vedere se riesce a fare un bagno nel fiume.
Io pensavo di fermarmi qui, ma non è che mi ispiri così tanto questo paese. E poi non so mica se trovo altri irlandesi che abbiano voglia di parlare con me, piuttosto di rimanere lì senza sapere cosa dire cosa fare, tanto vale che cammini ancora un po’. Si abbandona anche la carretera, Arcahueja non è così lontana, mi fermo lì.
Arcahueja. Però, a questo punto, sono quasi a León, faccio ancora un pezzo.
Periferia di León, indicazione dell’albergue Santo Tomás. Prima o poi mi dovrò fermare.
Bello, nuovo, pulito, cucina super attrezzata, gestori simpatici, 8 Euro. Eppure non c’è ancora nessuno. Alla fine saremo in 3.
Non è proprio in centro, ma in una ventina di minuti si arriva alla cattedrale e volendo ci sono anche gli autobus.
Vado a farmi un giro in centro, la cattedrale è chiusa, peccato mi era piaciuto molto l’interno.
 

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05/09 León-Villavante(31km)
Attraverso il centro di León. La piazza della cattedrale tranquilla e silenziosa sembra quasi diversa.
Vado a intuito e arrivo a San Marcos non davanti ma di fianco. Mi ritrovo faccia a faccia con l’indicazione del Camino del Salvador. Che voglia di seguire quelle frecce. Ci ragiono anche un attimo, ma in 2 giorni arriverei in mezzo alle montagne, come ci torno poi a León? Se da Sahagún avessi preso un treno per León, se… se… Se niente. Taci e cammina. Che oltretutto il tratto da León a Astorga non l’hai mai fatto, quindi va bene così.
L’uscita da León è come tutti gli ingressi e le uscite dalle grandi città. La cosa più divertente: 2 chiacchiere con 2 signori messicani abbastanza anziani, partiti oggi e in piena agitazione da primo giorno.
Prendo la deviazione per Villar de Mazarife. Mi lasciassi mai scappare una deviazione. Però ho letto che questa evita la compagnia della strada nazionale, si sa che sono un po’ asociale, soprattutto con le strade.
Una leggera salita.
Ad una curva c’è un signore con un banchetto. Vende caffè, latte, un po’ di tutto. Mi chiama, mette anche il sello, è a donativo, da bere, da mangiare. Alla fine prendo una banana, metto il sello e gioco un po’ con il cane.
Un tratto che mi piace molto. Pista di terra, campi un po’ ondulati, colore tra il marrone e l’arancione.
C’è anche una bodega scavata nella terra. Dopo il corso che mi ha fatto la signora di Peñaflor so un mucchio di cose su di loro.
A Villar de Mazarife mi fermo un po’ sulle panchine con una coppia Canadese. Loro si fermano qui.
Mi piace il mosaico, dev'essere stato anche bello costruirlo.
E’ presto, vado ancora un pezzo avanti.
Fino a Villavante non incontro più nessuno.
Fa un po’ caldo, soprattutto nel tratto su asfalto.
Una fitta rete di stretti canali di irrigazione in cemento, con incroci e chiuse. Interessanti.
Arrivo all’Albergue. Entro e sento “Hola”, non vedo nessuno ma rispondo “Hola”. Sento di nuovo “Hola”, rispondo di nuovo, un po’ più forte, forse non mi hanno sentito. Al terzo “Hola” mi viene qualche dubbio. Mi guardo intorno e vedo una gabbia. Sto parlando con Coco, un pappagallo verde.
Mi viene in mente una cosa raccontata da mia nonna: una volta si era sentita “genata” (a disagio) perché le sembrava che un pappagallo in una gabbia si rivolgesse proprio a lei e tutti si aspettassero da lei una risposta, ma non gli veniva niente. Questa parte di carattere mi sa che è passata in blocco a mio padre e a me. Altre cose si sono un po’ persa per strada nell’ultimo passaggio.
Richiamata da Coco arriva anche l’hospitalera.
L’albergue è nuovo e bello. Non c’è ancora molta gente e stanno tutti riposando.
Più tardi arriva un gruppo abbastanza numeroso di ragazzine francesi, forse scout o un gruppo parrocchiale.
Anche qui sembrano tutti a coppie o gruppetti e non mi viene così facile “entrare”.
Trovo un ragazzo giapponese che sembra anche lui un po’ spaesato e mangiamo insieme.
Dopo cena vado a farmi un giro a caccia di nuvole e ho tempo di portare a termine la teoria degli albergue e me, iniziata 2 sere fa.
 

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06/09 Villavante-Astorga (22km)
Sento le ragazzine francesi partire, ma soprattutto mi sveglia una persona che fa sicuramente più rumore di loro lamentandosi perché fanno rumore. Mi riaddormento.
Quando mi alzo non c’è già più nessuno.
E si riparte. Ultimo giorno.
Fino a Puente de Obrigo non incontro nessuno. Metto il pilota automatico. Vado senza guardarmi intorno. Non è il modo migliore per camminare, ma oggi è così.
Il lungo ponte.
Dovrei fare colazione ma tutti i bar mi sembrano pieni di zaini e bastoncini e persone che si conoscono. Alla fine non entro in nessuno e ripulisco gli avanzi che ho nello zaino, tanto non mi servono più.
Il muro dell’albergue di Villares de Obrigo, con il disegno che ho visto in tante foto.
Saluto il ragazzo giapponese di ieri sera che si sta riposando su una panchina.
Una facciata di una chiesa talmente alta che sembra che la chiesa dietro non ci sia.
Un bamboccio con addosso e intorno tutte le cose che probabilmente sono state abbandonate da chi è passato di qua. Lo trovo un po’ inquietante, non mi piace per niente.
Terreno un po’ ondulato tra campi e qualche albero. Mi piace.
Una grossa freccia fatta con piccole pietre accostate in mezzo alla strada. Strana, mi fermo a guardarla.
Captando qua e là pezzi di discorso in varie lingue, arrivo alla croce da cui si vede Astorga.
Un tedesco e una canadese mi chiedono una foto insieme sotto la croce. Danno il via a una moda. Faccio almeno dieci foto, con tablet, telefonini, macchine minuscole e gigantesche.
Scappo prima che mi raggiunga il gruppetto che sta arrivando. Ho paura di rimanere incastrata qui a fare foto per il resto della vita.
Discesa verso Astorga.
Tre ragazzi, forse coreani, con zaini giganteschi più un borsone che trascinano a turno. Mah… mica mi è chiaro da dove arrivino e dove vadano carichi così.
L’albergue. Oggi che non mi serve ci arrivo davanti senza neanche cercarlo.
C’è una mostra dei carri usati per le processioni della Settimana Santa (non penso si chiamino carri ma non so quale sia la parola corretta e carri è quella che mi rende più l’idea). Belli, ma alcuni sono veramente angoscianti.
Cattedrale con Palazzo Episcopale.
Sono ignorante quanto basta di architettura (e non solo), ma gli edifici di Gaudí mi sorprendono sempre.
Anche se forse non capisco, il Palazzo Episcopale mi piace, sia fuori che dentro.
Mi viene un dubbio però, a Gaudí farebbe piacere che parte delle sue opere non siano più utilizzate per lo scopo per cui erano nate e siano diventate musei? Chissà.
Mi faccio un bel giro dentro, tanto che devono cacciarmi perché sono le 2 e stanno chiudendo.
Così mi gioco l’interno della cattedrale, anche lei chiude alle 2.
Me la guardo da fuori. Soprattutto il portale.
Ancora un giro. Scopro che Astorga è famosa per il cioccolato.
Plaza Mayor. Lunga sosta su una panchina.
Stazione degli autobus, quello per León è appena partito. Il sabato non ce ne sono molti, decido di vedere se mi va meglio con i treni. Decisamente sì.
Serata a León. Quando incrocio qualcuno in sandali o infradito e abbronzatura da calzettina ho già nostalgia.
Domani ho un treno presto per Madrid e poi aereo. Avrò tempo domani per i bilanci.
 

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Prologo
Lo so che questo non è il posto giusto per un prologo. Ma non mi andava di scriverlo prima, non ero neanche sicura di volerlo scrivere. Ma ormai ho scritto talmente tante scemenze di vario tipo, che una più una meno non cambia molto.
Quest’anno la mia idea era di fare l’Aragonese: aereo fino a Lourdes, scavalcare i Pirenei al Passo del Somport e arrivare a Puente la Reina.
Poi… poi sono iniziati i dubbi, per così dire “etici”.
Partenza da Lourdes: per me sarebbe stata solo una partenza comoda. Possibilità di arrivare in aereo con voli economici e iniziare a camminare senza necessità di ulteriori spostamenti.
Sono passata per Lourdes alcuni anni fa e la mia insufficiente spiritualità non mi ha permesso di andare al di là della parte commerciale, che mi ha innervosito parecchio.
Ciò non toglie che ho grandissimo rispetto (e forse anche un po’ di invidia) per chi è in grado di andare oltre questo e sente Lourdes e i posti come Lourdes in maniera differente.
E proprio per rispetto, ho iniziato a pensare che forse non era il posto giusto per partire.
Un po’ anche a causa di un thread di questa primavera, ho iniziato a chiedermi perché con tutti i posti che ci sono dovevo proprio partire di lì, se per me non aveva un significato particolare (non sono arrivata a chiedermi perché continuo a fare cammini, non esageriamo eh… mi piace troppo).
E pensa e ripensa, alla fine ho deciso di cambiare totalmente programma. Mi è sembrato più rispettoso verso chi parte di lì con altre motivazioni, verso voi, direi.
Non è assolutamente detto che in futuro non lo faccia, l’Aragonese mi attira molto, ma per quest’anno è stato meglio così.
15 giorni? Camino de Madrid.
Madrid aveva gli stessi requisiti di comodità, ma mi sembrava un punto di partenza meno impegnativo.
Mi era rimasto in testa dal diario di Cinzia.
I commenti letti qui mi piacevano.
Abbastanza solitario per poter litigare in pace con me stessa. Abbastanza solitario per non sentirmi sola (quest’ultima frase forse non ha logica, ma per me è assolutamente chiara).
Certo che tutta quella pianura… però lì mi sono autofregata, mi sono studiata bene le prime 3 tappe, da Segovia in poi, vedrò…

Epilogo
E adesso l’epilogo, ormai ci sono affezionata. Devo metterlo.
Le prime 3 tappe mi sono piaciute molto. Montagne aspre, cappelli di Puffo, mucche, verde, rapaci, colori, pietre in posizioni apparentemente precarie, erba, alberi, salite, discese. Bellissima Segovia.
Ma questo lo immaginavo. Andavo sul sicuro.
La cosa strana è capitata dopo.
Un cielo enorme, di un blu che non saprei descrivere se non come blu-blu.
I trampolini e l’idea che arrivata lì avrei potuto saltare nel cielo.
Girarsi intorno, non vedere niente e nessuno e ridere.
Pensieri che arrivano non si come e non si sa da dove.
Incontri belli, strani, non banali. Charo, Maricielo e Manuel, i bambini del Pomodoro, Arturo (anche se con una piccola fuga), il vecchietto a cui piace il tramonto, la signora di Peñaflor, Sor Piedad, Cristina e Ruben (beh, a loro tocca un posto al centro della foto), i gestori del bar di Melgar. E sullo sfondo, ma ben riconoscibili, tutte le persone con cui ho scambiato due parole, a cui ho chiesto una informazione, che si sono incuriosite, che mi hanno consigliato una panchina, un negozio, una strada, un frutto. Una figura nell’ombra: il pellegrino misterioso, chissà chi era. Con il cagnetto di Pinilla Ambroz che vigila.
Cos’altro mettere? Sicuramente le torri dell’acqua. Le Plaza Mayor, tutte, da quelle con portici e chiese maestose a quelle piccole strane e irregolari. La resina e la sabbia. Le chiese più grandi dei paesi stessi, i castelli. Gli albergue e i pasti sulle panchine. Colacao y tostadas.
Forse davvero il sole in testa per tante ore aveva cotto qualcosa, ma stavo proprio bene.
Gli ultimi giorni sul Francese. Utili anche loro, anzi essenziali per farmi tornare coi piedi per terra.
Belli, ma più normali.
Alla fine io sono quella che cerca una via di fuga sotto un tavolo, non altro.
Ma se per un po’ di giorni non ci si sente incastrati da nessuna parte e quindi non servono vie di fuga, beh, vale la pena continuare a camminare.

Ultima cosa. Grazie a chi ha letto. Grazie a tutti per i commenti, messaggi e informazioni aggiuntive (Paolo!).
Io scrivendo sono riuscita ad allungare fino ad ora le sensazioni del cammino, questo è già un bel risultato.
Se avete possibilità e voglia, provate a farlo questo Camino de Madrid, vale la pena. (però se poi non vi piace non prendetevela con me, eh… :p )

:ciao: :ciao:
 
L'argomento da cui ho tratto questo diario con i commenti lo potete trovare qui.
Edo
 
Ho raggruppato i link da cui ho recuperato informazioni (qualcuno si davvero interessato a questo cammino e me li ha chiesti. Wow!).
Penso ci siano già in altri thread, perché alla fine i link sono quelli, ma li metto anche qui, servissero mai.

https://www.demadridalcamino.org/
direi che in questo sito c'è tutto: descrizione tappe, informazioni, si può scaricare un elenco delle accoglienze che viene aggiornato periodicamente (io l'ho scaricato subito prima di partire e non ho avuto problemi)

https://www.caminosantiago.org/cpperegrino/caminos/caminover.asp?CaminoId=11
qui ancora descrizione tappe

https://todosloscaminosdesantiago.com/caminos/camino-demadrid/
e anche qui descrizione tappe

https://hiking.waymarkedtrails.org/en/relation/112925
qui c'è una mappa dove eventualmente si possono anche scaricare le tracce GPS (ma non sono indispensabili)

https://www.csj.org.uk/planning-your-pilgrimage/csj-guides-and-updates/
e qui è dove ho recuperato la mini guida che mi sono portata dietro.
Ho visto che c'è anche un aggiornamento rispetto a quella che avevo io.

Ops... ne stavo dimenticando uno, quello da cui è partito tutto:
https://docs.google.com/gview?url=h...d/cinzietta_cammino_di_madrid.pdf&chrome=true
Il diario di Cinzia :si:

Grazie : - ) :ciao: :ciao:
 
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