IN QUALCHE QUANDO
Fuori da una finestra sporca batte un sole cattivo. Panni stesi sul balcone di fronte, nell’aria ferma di luglio.
Balcone, poi. Un’accozzaglia di alluminio anodizzato e vetri opachi, sporchi pure loro. Fantasmi di abitanti si intravedono, affaccendati in un bugigattolo-cucina. Cerco di vedere oltre quel palazzone, conosco cosa c’è, case poi palazzi poi case poi palazzi e poi finalmente.
Eccola, la strada.
Ecco noi.
Due che non si sono niente.
Un incontro casuale, per quanto sia una casualità che da case lontane ci ha portati nel qui-ed-ora, in mezzo ad un nulla fatto di sole e polvere.
Zaino. Scarpe. Passi che si ripetono. Occhi che si guardano. Ed è subito voglia di un di più, di uno sfiorarsi, troppo vicini, ma ancora troppo lontani. E non c’è perché. E non ci sono nemmeno parole: verranno, oh si, e saranno tante, ma adesso non è il momento. Nemmeno di sapere chi sei e come ti chiami.
Camminiamo insieme, senza volerlo regoliamo i passi l’una sull’altro, fino a trovare quelli giusti, quelli nostri, e li camminiamo tranquilli, finalmente senza pesi e senza la fatica dei chilometri da fare e di quelli già fatti.
Ti lascio andare avanti. E rallenti, piano piano, come per dirmi che si, ho capito bene, sono io che hai scelto. E fai anche un mezzo sorriso, quando ti raggiungo, per dirmi che lo sai, che io ho scelto te. Sempre che qualcuno abbia la possibilità di scegliere. Io non ci credo, almeno non qui, dove tutto è così…pulito.
Ancora nessuna parola, ma ci stiamo già dicendo tante cose, vero?
E’ possibile che ci si innamori all’istante di uno sconosciuto? E quante possibilità ci sono che la cosa sia ricambiata allo stesso modo e nello stesso momento?
Nessuna, a ben vedere.
Però dobbiamo guardare ai fatti. E ci bastiamo così, stesso passo per gli stessi passi, fino a dove ci porteranno le suole delle scarpe.
Mi guardo riflessa nei tuoi pensieri. Mi chiedo se posso andarti bene …beh, non sono una modella dai, e in più sono sporca e sudaticcia. Mi chiedo perché non ho passato due minuti in più davanti allo specchio stamattina, faccio l’inventario di come potrei apparire al principe azzurro sul cavallo bianco, casomai arrivasse (ma sei tu?) ma smetto subito, sono un disastro, sono quella con gli occhiali spessi che non piace a nessuno (e meno male che oggi ho su le lenti).
Scaccio una mosca immaginaria e con essa i pensieri severi che ho l’abitudine di fare a proposito di me stessa.
Qui non è casa, qui non è vita normale, è Cammino, con una emme sola, qui posso essere e pensare, perché qui sono davvero io e lo so. Ed ho anche il coraggio di dirmelo ad alta voce a volte, in mezzo a una salita o nella pioggia.
Qui siamo nel qui-ed-ora, non c’è domani, non c’è ieri, c’è strada da percorrere e basta.
E passi da fare. Tutti uguali e tutti differenti. Ma insieme, passi insieme. Tic tac delle bacchette, cicale che cantano, erba che fruscia nel vento caldo, mi bevo tutto e mi bevo te.
Oltre l’ultimo mattone, verso il punto del tramonto, inizia una campagna che sembra una discarica, e più o meno lo è. Da lì si passa per campi coltivati a grano e pesticidi, poi si arriva a un fiume puzzolente, lo si attraversa su un ponte che un tempo era anche color mattone ma ora è solo grigio, poi si va avanti per un bel po’, forse per una vita, ed infine si arriva in un posto dove tutto è pulito, e lì si sa di essere a casa.
Quell’albergue.
Mi hai preceduto di qualche metro poi ti sei fermato ed hai tolto lo zaino dalle spalle, anche se è presto, anche se si potrebbe ancora camminare, e mi hai guardata mentre lo facevi, ed io volevo arrivare da un’altra parte, dovevo, ed invece mi sono tolta lo zaino e l’ho appoggiato vicinissimo al tuo.
E poi abbiamo iniziato a parlare. E non abbiamo più smesso, per tutto il pomeriggio e la sera, tranne in alcuni momenti in cui c’era troppo da dire per poterlo sopportare. E allora siamo stati zitti e ci siamo guardati, e sì, ci siamo amati in silenzio, senza confini e senza ragioni, ci siamo amati perché si.
Fino a che non c’era più niente da fare, se non andare a dormire, oppure anche no.
Ma ci siamo andati, a dormire, dicendoci che eravamo contenti di esserci incontrati, in un abbraccio. E basta, un solo abbraccio, uno solo, la prima volta che abbiamo messo pelle e pelle insieme.
La notte, senza dormire, letti vicini, tutti e due sopra, un misero metro di distanza, la tentazione di allungare il braccio verso di te, la paura mista a speranza di trovare anche il tuo allungato nella penombra verso di me, poi finalmente verso l’alba, ho chiuso gli occhi per un istante. E il mio braccio è rimasto dentro quel sacco a pelo. Ma perché?
In quel posto le distanze non esistono, per arrivare da un punto all’altro ci vogliono minuti o ore, non chilometri: arrivare è una cosa lenta, intima, personale, liberatoria.
Per arrivare nel cuore vero di una persona invece, basta uno sguardo e un secondo.
C’è chi ha il sole dentro, e chi no, tutto qui, e basta solo mettersi a guardare.
Il tuo cammino è terminato il giorno dopo, mi hai detto che ti sarebbe piaciuto rimanere ma non ne avevi la possibilità. Quando ci siamo salutati ci siamo scambiati due baci sulle guance, ed erano troppo, troppo vicini all’angolo della bocca, tutte e due le volte, ma era un addio, e non aveva senso portarsi dentro un primo ed ultimo bacio, no? Mi è venuta in mente la fine di una canzone, diceva
Quando non ci sarò più io
perché ogni incontro è già un addio
quando non ci sarò più io
che ora ho te.
Ma io non ti ho mai avuto, da te ho avuto un “buen camino”, che dice il tutto e il niente.
Io ci ho visto il tutto, però da quel momento ho continuato a camminare come morta fino a che non sono arrivata, e poi sono in qualche modo tornata a casa, come morta, e da allora ho cominciato a guardare fuori da una finestra sporca. In cerca di un posto.
In quel posto si cambia, o forse si diviene quello che si è davvero. In quel posto il tempo è un pensiero. Certo, c’è il tempo, ma è solo un qualche quando, non una cosa che senti.
In quel posto, in un qualche quando ho allungato la mano fuori dal sacco a pelo, ho trovato la tua, ti ho baciato, e poi siamo rimasti insieme fino a finisterre, e finalmente, finalmente abbiamo fatto l’amore.
In un qualche quando, siamo rimasti insieme, senza miserie dentro, senza nemmeno il peso dello zaino, siamo rimasti insieme.
In un qualche quando, noi ci siamo amati. E siamo fuggiti lontano, per sempre.
Ho cominciato a guardare fuori da una finestra sporca, sempre più oltre il punto del tramonto, fino a quella strada, fin dentro il mio cuore.