La costanza dell’incostanza
Lo sai caro Dany
Lo sai
Che hai sbagliato a sposarti !
Non vuoi ammetterlo, perché hai una devozione per la tua famiglia incredibile, coltivata dall’insegnamento avuto, cresciuta grazie al tuo carattere un po’ bambino, conservata dal bene che hai per loro.
Non sono i bambini (eee ormai ragazzi) ad esser sbagliati, non è la moglie ad esser sbagliata, lo sei tu mio caro, sbagliato per questa vita che ti chiede solo e niente di più di un’amorevole
costanza, di camminare assieme tra le salite e discese della vita.
Sono stanco di essere così amato da tutti e al tempo stesso far soffrire tutti.
Sono stanco di non saper amare, perché amare vuol dire non far soffrire.
Chi sono io per essere così amato?
Chi sono io per non sapere come è giusto amare?
Bello trastullarsi nella figura del piacione avventuriero
L
’incostanza dei tuoi giovani anni nella scuola, nelle amicizie, nelle compagnie, negli amori, con questo si
costante bisogno di cambiamenti per rendere
incostante la stessa insoddisfazione per qualcosa mancante e sempre celato ai tuoi occhi: la necessità di parlarti.
Questo tuo mancare di parlare alla tua anima inquieta era soggiogato dalla bellezza della vita dei 20 e dei 30 anni, anni ricchi di nuove e facili esperienze, l’affacciarsi al grande nuovo mondo esterno alle mura scolastiche. Quante esperienze, quante belle amicizie, quanto sport amato, quante amanti, quante possibilità e opportunità impossibili da non cogliere a quell’età. Chi te lo faceva fare di sentir borbottare un’anima inquieta? Anno buio il 2003, troppo dolore, l’anima inquieta urlava ancor di più ma la morte lasciò solo vuoto di parole e ascolto. Hai preferito appoggiarti alla dolcezza di Clara invece che alla tua durezza, scivolare nella sua pazienza anziché perderti nella tua disperazione. Nel 2006 hai pensato che la soluzione alla morte era far nascere nuova vita.
Quale progetto più bello può accompagnare un uomo nella sua vita ? due pargoli!
Ma non hai fatto i conti con te stesso mio caro PeterPan: anni facili quelli dove bastava far volare tra le braccia i piccoli bimbi sperduti appena nati. Quella perfetta creazione, potevi veramente urlare orgogliosamente a quell’anima inquieta bisbigliatrice : “
ma stai zitta!” , “
tiè guarda che cosa ho fatto! Come puoi chiedermi chi sono e cosa voglio e dove vado”.
Occultarla, zittirla, è stato semplice, aiutato da quei piccoli grandi amori che riempivano i vuoti in me e creati da me; ma la carogna era lì paziente e non dormiente.
Abile giocoliera ha iniziato a beffarsi di me non più ponendomi domande ma insinuandomi dubbi di età che avanza, dubbi di capacità nei ruoli acquisiti. 10 anni!!! + o - ! Scavava alle mie spalle occultandomi, zittendomi e appesantendomi.
Posso recriminarmi il fatto di non averne parlato, lasciandomi logorare per un decennio, ma non sono un gran oratore, occorre tirarmi fuori le parole con le tenaglie. Tutt’ora recidivo dal mio primo gran silenzio del 2003.
Abile è stata la mia anima a intimarmi di parlare con lei o gioco forza con nessun altro.
Fu infatti molto brava a portarmi sul primo Cammino, quel luogo dove solo se lo vuoi veramente puoi avere un dialogo aperto con lei.
E mi parlò bene, finalmente riuscì ad avere il mio primo dialogo aperto con lei.
Usammo tutti i più bei strumenti che un Cammino può darti:
- L’esser soli ( io e lei )
- Il tempo rallentato
- La costanza del fare un passo alla volta, un passo dopo l’altro.
- Obbligarti a riconoscere i tuoi limiti come punto di partenza
- La facoltà di decidere se vuoi farlo veramente
E si ! il punto 5) !
Senza di esso tutto è vano, senza quella decisione si può vivere un’intera vita appesantita, incostante, indefinita, si può camminare senza un senso, si può navigare alla deriva senza meta, si può viaggiare e tornare a casa senza aver trovato riscontro.
Abile è stata la mia anima a farmi sentire così disperato da farmi pensare che quella decisione di partire era stata una mia facoltà.
In realtà no, nessuna facoltà nel mio primo Cammino, solo pura e imperativa chiamata.
Grazie a lei (e non a me, io mi lasciai solo accadere) usammo tutti gli strumenti e tornai uomo nuovo, ricco, avido di
costanza nel dialogo aperto con me stesso con le persone con la mia famiglia.
Tornai luce, per me per gli altri, e soprattutto tornai deciso a non farla più spegnere quella luce.
Per qualche mese quella luce costante illuminava me e chi mi circondava, riscaldavo le anime altrui nell’alimentare la mia, nell’ascoltarla, nel lasciargli spazio aperto senza più mura.
Sogni vivevano, speranze volavano, sicurezze nascevano, sorrisi e abbracci si moltiplicavano, il cuore si apriva all’Africa nel simultaneo amore del quotidiano.
L’
incostanza aveva trovato il suo equilibrio con la
costanza.
Ma poi successe di nuovo.
Un nuovo dolore 2018
Progetti
incostanti saltati senza il minimo dubbio a favore di un costante amore smisurato
Il dolore stavolta non doveva vincere, non doveva riempire di nuovo il cuore.
Tornò però nel mentre il gran silenzio in me, non reggevo il parlare di quel dolore, rifiutavo il solo pensare che potesse esistere.
Vincemmo la battaglia, le nuvole di diradarono, ma quella mia luce non c’era più, come se il male avesse richiesto un pegno in cambio.
Tornai allora di corsa sul Cammino per “riprendermi” la mia luce.
Ma non funziona così.
Senza quel punto numero 5 tutto è vano: godi del tempo a disposizione, fai due passi alla volta perché hai fretta di trovare ciò che sai già esiste, non riconosci più i tuoi limiti perché sai già di poterli superare, col risultato che ti ritrovi solo, la tua anima non è li con te, e torni a casa vuoto.
Ti ho occultato ancora cara anima. Scusa.
Ti ho zittito, testardo nel pensare di trovarti in Islanda tra fuoco e ghiaccio.
E così mi hai zittito tu, col Covid
Abile giocoliera hai iniziato a beffarti di me escludendoti, lasciandomi solo nel quotidiano, nella costanza, nella sua bellezza, imponendomi di giocare il gioco assurdo della vita fatta di cose semplici, pranzi non frettolosi, distanze ridotte in casa ed estese con tutto il resto, serate di divano e dolci e cartoni animati, risate e rumore di pallone che echeggiava nel silenzio assordante di un mondo fermo.
Mi hai lasciato lì, da solo, in silenzio.
Hai deciso di non parlare più tu e mi hai fatto capire quanto fa male.
Mi hai fatto capire quanto faccia male stare vicino a me quando decido di non parlare!!!
Ho bisogno di parlarti, e ho bisogno che tu parli a me.
Ho la facoltà di decidere e io lo voglio veramente.
Devi aiutarmi a ritrovare quell’equilibrio tra l’
incostanza e la
costanza, senza di te rischio di rimanere
costantemente incostante.
ti prego vieni con me.

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