Quando si tratta di credere, non basta sapere, bisogna provare, cioè sentire. Credere non è soltanto questione di conoscenze. E' anche un affare che coinvolge il cuore e il corpo e ti porta ad attraversare delle soglie, a valicare dei passi, a superare dei passaggi stretti.
Viene il momento in cui dobbiamo credere nel nostro cuore. Ma noi siamo limitati. Non è come imparare a far di conto. Nella fede c'è sempre un elemento imprevedibile, che sconcerta sempre. Come nell'amore. Il mio elemento imprevedibile è stato don José Maria.
Da anni meditavo sulla mia capacità di credere. Da anni ricercavo Dio, l'Assoluto, la Legge Mistica, qualcosa o qualcuno, insomma, che mi restituisse la fede della mia giovinezza.
Quando mi imbarcai nell'avventura del Cammino, lo feci per un antico ricordo d'infanzia, di quando, alunno dei Fratelli dell Scuole Cristiane, un insegnante di lettere raccontò in classe degli antichi pellegrini che si recavano alla tomba di San Giacomo, con tutto il corollario poi di Carlomagno. Un ricordo, questo, rimasto per decenni in fondo alla mia mente.
Quando iniziai il Cammino, più che la fede era presente in me il racconto del mio insegnante e la scommessa con me stesso di superare una prova di quel genere nonostante l'età.
Le cose cambiarono a San Juan de Ortega. Riposavo nella piazzetta antistante la Chiesa, in attesa che asciugasse la biancheria appena lavata al fontanile e mi accorsi che don José si era seduto nell'atrio della canonica. Provai, in quel momento, la necessità di accostarmi a lui per scambiare due chiacchiere, ma dopo due convenevoli - fu più forte di me - gli chiesi se comprendeva bene la mia lingua e, al suo assenso, aggiunsi allora che desideravo confessarmi. Era un'esigenza la mia che scoppiava, lì, in quella piazzetta, dopo trentanni dall'ultima volta.
Don José prese una sedia, la pose accanto a sé, mi fece sedere e per un'ora e mezza iniziò a parlarmi della società, degli antichi cammini, dei pellegrini, della difficoltà di ospitare i camminanti; e io stavo ad ascoltarlo con una leggerezza nel cuore che mi ricordava mia madre quando mi accarezzava.
Mi domandò, poi, se desideravo un caffé. Lo fece portare da sua sorella, una tazza di caffé per lui, un café con leche per me e per entrambi un bel piatto di biscotti. E quanti si trovavano a passare per via potevano vedere due vecchi tranquilli che gustavano una zuppetta.
Parlò ancora, don José Maria, per una buona mezz'ora, e alla fine, guardandomi con quegli occhi trasparenti, mi invitò: "Quando vuoi confessarti....""
Mi alzai subito e feci l'atto di recarmi nella chiesa distante una decina di metri, ma fu a quel punto che lui toccò leggermente il mio braccio e mi sussurrò:
"Dove vai, figlio mio, Dio è anche qui"! e mi confessò, là, seduti su due vecchie seggiole, coi piedi sulla strada.
Il mio cuore sembrò espandersi e la confessione andò avanti a fatica per i miei singhiozzi.
Al termine ci stringemmo e fu come se in quel momento io abbracciassi Dio.
Pippo