giorno uno
18 luglio 2020
da castello (1600 metri)
al rifugio alpetto (2268 metri)
passando per il passo di san chiaffredo (2762 metri) ed il passo gallarino (2728 metri)
in macchina.
simona ha la faccia del: "mi serve un caffè. finchè non ho un caffè come si deve in corpo non ce la posso fare".
quando poi - decine e decine di chilometri dopo - avrà il suo caffè con anche un mini-grisbì [ma quanto sono carini, questi mini-grisbì? quanto?] tornerà nuova.
lia è seduta dietro, in silenzio.
li conosco i suoi silenzi.
li conosco bene.
mi riconosco, in quei suoi silenzi.
voi adesso mi conoscete.
ma io sono una che in macchina è stata capace di silenzi che sono durati chilometri che si sono trasformati in ore.
capitò che neanche la frase: "guarda che puoi parlare anche tu, cri" riuscisse a scalfirli.
o meglio: li scalfì.
risposi: "lo so".
e tornai muta.
suscita risate ancora oggi, quella scenetta.
io guido.
posso dirlo?
non so neanche bene dove sto andando - navigatore santo subito.
la geografia del piemonte mi è del tutto sconosciuta.
a noi lombardi il piemonte è del tutto estraneo.
che ci dovremmo andare a fare?
gite?
vacanze?
escursioni?
nessun lombardo fa gite in piemonte [sì. certo. certo. in gita scolastica al museo egizio e al parco del valentino a darsi i primi baci alle medie ci siamo andati tutti].
nessun lombardo fa vacanze in piemonte [mica c'è il mare. e comunque non c'è niente che non ci sia anche da noi].
nessun lombardo fa escursioni in piemonte [abbiamo le nostre montagne. e sono montagne per tutti i gusti e per tutti i palati. non ci servono altre montagne].
io guido.
in un nulla di senso che si riempie di immagini.
ed è il po attraversato.
e un'autostrada che va al mare.
e campi di kiwi.
e ragazzi di colore che infilano fiori di zucca appena colti dentro cassette di platica nera.
e paesini di cui riconosco i nomi solo perchè sto leggendo lia sul forum che racconta del suo andare a piedi da casa al mare.
e savigliano che associo a mattia miraglio.
e la val varaita di cui forse mi aveva parlato emmeti.
però ecco.
è tutto una nebbia.
ed è tutto una nebbia non solo dentro la mia testa.
è tutto una nebbia anche attorno alla macchina.
è tutto una nebbia anche attorno a noi.
pioviggina, pure.
almeno.
mi pare piovviginasse.
però non so.
alla fine è irrilevante.
pioggia o non pioggia il tempo è uggioso, grigio, umido, appoggiato giù come cappa.
iniziamo bene.
castello, frazione di ponte chianale.
ultimi messaggi sul telefono.
"in tutto il giro, non prenderà mai", ci aveva detto lia.
facciamo in tempo a leggere una chat di amicizia e quotidiano condiviso.
abbiamo detto della nostra partenza.
qualcuno legge sbagliato.
non mi ricordo neanche quale fosse la parola che venne equivocata.
forse congiunte.
forse.
quello che è certo è cosa diventammo noi tre, da quel misunderstanding in poi.
diventammo "le cugine".
e che nessuno ci levi questo nostro nuovo appellido lucente di fresca novità.
le cugine - questo siamo noi tre.
le cugine - questo siamo noi tre da oggi in poi.
castello, frazione di ponte chianale.
lago con diga.
parcheggio.
nebbia bassissima.
non si vede il lago.
sarebbe lì a due passi, appena oltre la staccionata.
niente.
tocca immaginarlo.
poi c'è un minuscolo attimo in cui si alzano le nuvole di pochi metri.
e si intavvede il lago.
e noi ci facciamo un selfie.
poi basta mollezze.
scarponi ai piedi.
stringhe allacciate.
si va.
faccio scelta estrema.
lascio il telefono in macchina.
lo spengo e lo mollo lì, nella taschina della portiera.
quattro giorni offline.
quattro giorni fuori dal mondo.
quattro giorni senza contatti con nessuno.
quattro giorni come quando in montagna ci andavo vent'anni fa.
bello.
strano.
chissà come sarà.
si va.
si va.
salita.
attacca subito bella in piedi.
simona chiederà: "è tutta così?".
dirà lia [come conforta lei, nessun'altra]: "no, dopo è anche peggio".
si va.
vado con quel passo lì.
quel passo di chi si butta a capofitto dentro le cose.
mi morsica la voglia.
mi guida il desiderio.
poi - grazie lia - mi avvolge della saggezza.
rallento.
e sono steli d'erba in bocca.
e passi cadenzati.
ed il bosco di pino cembro - il più grande d'europa, se non ricordo male [
liam , correggimi se sbaglio].
mi viene in mente il matrimonio di d. e m.
divisero i tavoli dandogli il nome degli alberi.
a noi capitò quello del pino cembro, detto anche cirmolo.
come centrotavola un brano di mauro corona.
diceva, quel brano:
"il cirmolo resiste bene ai venti, e la neve, che alle alte quote e in grandi quantità scende su di lui, non riesce a spezzargli le braccia come a molti suoi fratelli. come i raffinati ama le posizioni alte. vive tra i 1800 e i 2000 metri e l’aria fine lo ha mondato dal superfluo, impregnandolo di essenze odorose. annusando un tronco di cirmolo si comprende quanto sia importante la vita sulla terra. c’è tutto in quell’odore: la montagna, il mare, i deserti, la voglia di vivere, la semplicità. appendi un ramo di cirmolo in una stanza e ti porti in casa il bosco."
[mauro corona - le voci del bosco]
se vi capita per le mani, leggetelo, questo libretto di mauro corona.
un trattato di botanica vestito di poesia.
non ricordavo cosa dicesse, quel brano.
ricordavo benissimo che pareva parlasse di me.
ricordavo benissimo che pareva parlasse a me.
un ponte sul fiume.
che poi.
ponte.
due ex tronchi d'albero tenuti insieme da tre enormi graffe di ferro.
due ex tronchi d'albero appoggiati alla prima riva, ad un sasso che affiora in mezzo al ruscello, alla seconda riva.
regge tutto, basta fidarsi.
regge tutto, basta crederlo.
simona, tentativo di opposizione: "io quel ponte non lo attraverso".
lo attraverserà, ovvio.
lo rivedremo alla fine dei quattri giorni di trekking, quel ponte.
dirà simona: "che ingenua che ero. adesso potrei attraversarlo bendata, saltando su un unico piede, camminando all'indietro, tenendo in equilibrio in una mano una tazzina di caffè e nell'altra una brioche alla crema".
capita che si cambi, nella vita.
capita eccome.
ed è bellissimo.
incredibilmente faticoso.
potenzialmente distruttivo.
sicuramente doloroso.
ma bello - bello di una bellezza viva ed infinita.
sale il bosco.
saliamo noi.
un passo.
un altro.
un altro.
radici.
sassi.
fiori.
umido sulle foglie.
aghi di pino.
ogni tanto incrociamo qualcuno scende - per lo più francesi.
ogni tanto ci aspettiamo tra di noi.
un nome chiamato nel bosco.
una maglietta a brillare nella nebbia - vedi che ho fatto bene a prenderla rosa fluo, la maglietta?
un sorso d'acqua.
un'umidità attaccata addosso.
un nulla fatto di nebbia densa.
un niente fatto di nuvole rasoterra.
questa nebbia.
queste nuvole.
certo non sono simpatiche.
che io ho voglia di vederle, queste montagne alte dentro cui mi sto inoltrando.
ho voglia di guardarle dal basso all'alto.
farmi stupire dalla loro imponenza.
sentirmi minuscola davanti alle loro grandezze.
sapere dove sto andando.
scrutare la fatica che mi attende.
e invece niente.
si vede solo quello che c'è davanti al piedi.
ed è già tanto.
poi ecco.
giochiamo a pollyanna?
giochiamo a pollyanna.
ci siamo risparmiate la salita sotto il sole a picco ed un caldo cocente - che no, non sarebbe stata facile per nulla.
ci siamo risparmiate il sapere quanto in alto dovevamo salire - che può essere stimolo, o pietra al collo, quel conoscere lì.
vai, pollyanna.
"pausa?"
"pausa".
ci fermiamo.
uno sguardo verso l'alto.
e.
e.
e.
ed è cielo azzurro.
uno strappo di cielo azzurro in mezzo a questo bianco e questo grigio.
ed è uno strappo di cielo azzurro che si allarga e si allarga e si allarga sempre più.
e diventano cime disvelate.
e la prima neve vista.
e la montagna.
l'alta montagna.
quella che piace a me.
è alta montagna da resiprare.
da farsi entrare dentro.
da farsi specchiare addosso.
quanti anni sono, che non vado in montagna così?
così seria?
così in un altrove?
così a quote che non mi sono abituali ma che sento così mie?
[e no, gli anni al gemelli - neanche 2000 metri, poi - da questo punto di vista non valgono nulla. quella era casa, non montagna].
quanti anni sono, che non metto piede a queste quote?
tanti.
tantissimi.
troppi.
venti, mi sa.
dal sentiero roma, direi.
da quell'estate lì.
a lungo pensai, di quel giro in val masino: "io un altro giro così bello non lo farò più".
e invece.
e invece oggi.
e invece qui.
invece, vedi, la vita, quando ti stupisce.
tornanti su ghiaione.
sentiero su pietraia.
quanto mi incantano, ghiaione e pietraia?
quanto?
questa è la montagna che amo.
brulla.
arida.
severa.
dura.
faticosa.
rocciosa.
senza sconti.
ma fattibile, a guardare bene.
ma possibile, a inventarsi passi.
ma conquistabile, a giocare lenti.
ma sfaccettata, ogni passo una possibilità.
ma bellissima, appesa al cielo.
ma tenera di una tenerezza ruvida e scostante, ad abbandonarvicisi addosso.
dice lia: "dillo, a
Raùl , cri. diglielo. che lui si stupisce sempre che mi piacciano i sassi. magari se sa che non piacciono solo a me magari si stupirà un po' meno".
non credo, lia, che raul si stupirà un po' meno.
anzi.
si stupirà un po' di più.
che una testa matta tra le sue amicizie passi.
ma due.
il lago davanti.
la distesa di sassi accatastati.
"guarda che meraviglia, tutti questi omini".
"omini? a me paiono lapidi in un immenso cimitero a cielo aperto".
il mondo è bello perchè è vario - e noi sì, siamo varie.
sono tanti, tanti, tanitssimi, questi omini in questa piana ad alta quota.
omini a perdida d'occhio.
verso ogni orizzonte.
in qualunque dove.
di qualunque forma, equilibrio, altezza, larghezza.
incantano.
ale, avresto dovuto essere qui.
sai quante fate dormono lì sotto, muso del mio cuore?
tutte quelle che vuoi.
tutte quelle che sogni.
fa un omino, lia.
dice: "è tradizione. lo faccio sempre, quando passo di qui".
lo fa per vittoria.
e adesso che sa dell'amore di ale per gli omini, anche per lui.
lo chiamerà defendente quando lo considererà dono per ale.
defen quando sarà omaggio a vittoria, che vittoria di denti in questi giorni proprio non ne vuole sentire parlare.
la torta della montagna di lia - mitica. ma mitica proprio. altro che doping.
il passo san chiaffredo.
il traverso sopra il ghiaione.
sassi ovunque.
cielo addosso.
la prima neve.
in mezzo a questo nulla fuori dal mondo, la mamma di simona che chiama.
"no, mamma, no. sono in mezzo al nulla. si, sto camminando. sì, ho capito che ti è arrivata la notifica che ero raggiungibile, ma non eravamo d'accordo che ci saremmo sentite martedì? sì, sì, comunque tutto bene".
la scena è decisamente surreale.
ridiamo un sacco.
mangiamo ciccolato.
il passo gallarino.
la prima costola del viso.
il fascino di quelle cime contro quel cielo azzurro.
la bellezza di quei pinnacoli di roccia aguzza a disegnare immensità ed ogni orizzonte.
sono a casa.
sì.
qui sono a casa.
sono felice.
sì.
qui sono felice.
cammino davanti.
chiacchiere sparse.
oltrepasso una roccia.
mi immobilizzo.
dito sulla bocca, occhi a dire di tacere.
arrivano le cugine.
eccolo.
uno stambecco.
così.
parato davanti a pochi metri.
sta.
poi si sposta.
non gli importa niente di noi.
dei sassi su cui si incammina men che meno.
non so se sia al soldo della pro-loco.
certo pare mettersi in posa.
declivio di roccia.
profilo scuro.
corna controluce.
uno spettacolo.
scendiamo.
siamo di nuovo nella nebbia.
non si vede niente.
per fortuna che il sentiero è segnato bene.
bolli bianchi e rossi ogni pochi passi.
omini ovunque.
perdersi è impossibile.
meandri di un fiume che si impantana in una piana.
una cascata che ribolle furiosa.
la guardo a lungo.
sembra che mi vomiti addosso la potenza creatrice della terra.
strana sensazione.
mi immagino coì l'islanda - così, ma amplificata.
scendiamo.
dovrebbero esserci delle montagne attorno.
delle colline basse.
un laghetto a brillare.
un rifugio che finalmente si palesa.
non c'è niente.
solo questa panna bianco-latte dentro cui camminiamo.
e dei condomini di marmotte.
e un filo di stanchezza - adesso sì, un filo di stanchezza.
poi ecco, all'improvviso.
è sempre così, quando cammini nella nebbia - in montagna o nella vita.
è sempre un: poi ecco, all'improvviso.
ed è epifania.
di quelle belle.
rifugio alpetto.
questo ha scelto il nostro virglio per noi.
ha scelto bene.
rifugio piccolo, accogliente, famigliare.
rifugio di quelli che piacciono a me.
sassi a vista.
tenda arancione da campo base montata su una piattaforma in legno davanti alla porta - estate covid 2020.
rifugista in grembiule.
eccoci.
ci siamo.
eccoci.
stiamo.
un po' di lavaggi.
c'è anche una doccia, ma lia e io siamo della vecchia scuola, quella dei montanari duri e puri.
come diceva il mio amico chicos: "in montagna l'uomo ha da puzza'. e la donna anche".
acqua fredda e lavarsi a pezzi - equilibrisi tra lavandini e muscoli che hanno visto momenti migliori, quello che ci vuole alla fine di nove ore in giro a camminare.
un po' di riposo.
leggo articoli di una rivista del cai, ma sono così stanca che non solo non capisco l'articolo, ma neanche tutte frasi, a volte mi perdono anche dentro la singola parola.
ha una bellezza tutta sua, quell'essere così stanchi in questo modo qui.
cena nella sala comune.
si alza la nebbia.
si alzano le nuvole.
si alza quel bianco latte che ci avvolgeva da ore.
cielo terso.
orizzonte pulito.
colori a splendere nel dopo umidità.
usciamo.
ci guardiamo lia e io.
"scarponi?".
"scarponi".
vuoi non farteli due passi fino al laghetto?
che adesso è qui.
e si vede.
ed è splendido di uno splendore pacato e perfetto.
noi due su un sasso che si allunga nelle acque.
acqua a specchiare cime.
cime a specchiarsi nell'acqua.
noi due lì, a farci venire addosso il freddo della sera in montagna.
alla nostra destra, eccolo.
il monviso.
è lì.
è proprio lì.
è la prima volta che lo vedo così bene.
già mi incanta.
non so ancora quanto lo vedrò meglio domani.
non so ancora quanto mi incanterà di più domani.
e dopodomani.
e dopodomani ancora.
in una scoperta senza fine.
in un incanto senza fine.