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Diario La strada per compostela - seconda parte

paolo_botta

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il cammino si è interrotto lo scorso anno. partito da saint jean pied de port l'11 agosto 2010, sono arrivato a burgos il 20 agosto seguente. gli impegni universitari mi costringevano a non proseguire e quindi a malincuore ho dovuto interrompere. ma la promessa di terminare il cammino è rimasta viva per tutto quest'anno. così seppur a fatica sono riuscito a ritagliarmi quei 20 giorni necessari per terminare quel che avevo lasciato a metà. e non me ne pentirò mai perchè è stata l'esperienza più bella della mia vita. questo è il resoconto della mia esperienza. questa volta a differenza della volta scorsa non ho tenuto un diario. mi sono voluto godere fino all'ultimo istante tutti i momenti: dal cammino fino alle serate passate in albergue. anche se il ricordo di qualche particolare è venuto meno, i ricordi di ogni singolo giorno sono vivi nella memoria perchè le cose belle non si scordano mai.

20 luglio 2011 Burgos – Rabé de Las Calzadas (14 km)
Arrivo a Burgos in pullman verso le 14 e, sceso dal pullman, mi reco subito in cattedrale. Ho voglia di visitarla dato che l’anno scorso al termine del mio cammino non ne avevo avuto modo. L’entrata è a pagamento ma è scontata per i pellegrini con credenziale. Una volta all’interno scopro che una parte dell’edificio è riservata al culto e che non è possibile visitarla fino alle 17. per iniziare il mio cammino avrei voluto pregare davanti al cristo di Burgos (che avevo saputo essere un crocifisso molto particolare) ma si trova proprio nella parte riservata al culto. Non ho voglia di aspettare fino alle 17 anche perché sono impaziente di iniziare a camminare. Visito il resto della cattedrale con distrazione. Seppur bellissima mi sembra un museo più che una chiesa. Si sono fatte le 16 e dopo aver mangiato un panino ed essermi rifornito d’acqua parto per il cammino. È un’ora insolita per partire ma di restare a Burgos proprio non ho voglia. Le grandi città non sono fatte per i pellegrini e ho voglia di respirare subito l’aria di cammino che aspetto da un anno. Passando per la zona universitaria esco da Burgos. Il sole picchia forte e ombra non ce n’è proprio. Lungo il cammino, data l’ora, non incontro nessuno tranne ogni tanto qualche ciclista che mi supera. L’afa non aiuta di certo a camminare ma bevendo molto e fermandomi spesso proseguo senza troppi problemi. Arrivo a Tardajos e passo davanti l’albergue dove i pellegrini si stanno godendo il meritato riposo bevendo e mangiando. Più avanti mi fermo ad una fonte a dissetarmi. Nei pressi della fonte sostano a chiacchierare le vecchiette del paese che mi chiedono qual è la mia destinazione. Rispondo Rabé e mi tranquillizzano: sono quasi arrivato. Proseguo quindi per rabè dove arrivo alle 19 accolto da un cane che da dentro il giardino mi abbaia contro (mi sa che non è abituato a veder pellegrini arrivare così tardi). In paese non c’è nessuno. Trovo rifugio all’albergue Liberanos Domine che offre anche la cena e la colazione. L’hospitalera è abbastanza cordiale e mi accompagna alla stanza al piano di sopra. In stanza siamo in tre, io ed una coppia. Tra me e me penso: sono fortunato, dovrei passare una notte abbastanza tranquilla. L’albergue è ben tenuto e pulito con tutte le comodità. Dopo essermi fatto la doccia, faccio un giro in paese ma non c’è molto da vedere. La chiesa è chiusa. Mi siedo quindi su una panchina al sole aspettando la cena. Alle 20 si mangia: ceno con due simpatici catalani, Agos e Melchor, un messicano e un tedesco al quale, mi accorgo durante la cena, manca un dito. Ci racconta che se l’è tagliato mentre lavorava con la sega elettrica. Non si è lasciato però abbattere da questo incidente continuando a fare tanto sport (infatti ci racconta che fa tappe belle lunghe). La cena, cucinata dall’hospitalera, è abbondante così come il vino: zuppa, Insalata mista, tortilla e yogurt come dessert. Chiacchieriamo in allegria e dopo si va a dormire. Domani sarà una giornata lunga: ho intenzione di arrivare a San Nicolas, l’hospital della Confraternita di Perugia. Ho proprio voglia di conoscere qualche italiano. Con le lingue straniere me la cavo ma solo per farmi capire. Parlare è un’altra cosa… salgo di sopra e i miei compagni di stanza non sono ancora rientrati. Mi metto a letto e mi addormento prima del loro rientro. Vengo però da loro svegliato verso l’una di notte: russano entrambi e in particolare lui va ben oltre il semplice russare emettendo suoni direi animaleschi… Mi rigiro nel letto senza riuscire ad addormentarmi. Perciò ho un’idea: avendo notato che nell’albergue c’era poca gente, nelle altre stanze devono esserci necessariamente dei letti vuoti. Mi avventuro perciò verso le altre stanze e sono fortunato. Nella prima in cui entro c’è un letto libero. Mi dirigo verso il letto e una ragazza non so in quale lingua mi chiede che ci faccio lì. Cerco di risponderle sfoderando il mio “itagnolo”: “nella mia habitacione roncadores!”. La ragazza sembra non capire e chiede consulto ai suoi vicini di letto che a quanto pare sono svegli anche loro. Ripeto quindi a loro: “Roncadores”. Vedendo che continuano a non capire concludo con un bel “vabbè buonanotte” e mi metto finalmente a dormire.

(continua)
 
21 luglio 2011 Rabé de las Calzadas – San Nicolas de Puente Fitero (36 km)
Ho dormito proprio bene nel letto conquistato nottetempo. Alle 6 mi sveglio. È l’ora della colazione buona e abbondante che ci ha preparato la gentile hospitalera: caffè, latte, cacao, pane tostato con marmellata, succo di frutta e merendina. Alle sette sono pronto e mi metto in cammino. Sono emozionato: è il primo giorno vero di cammino e devo affrontare la mesata da cui tutti mi avevano messo in guardia. Dopo un’ora e mezza arrivo a Hornillos del camino, dove incontro i due catalani Agos e Melchor. Ci fermiamo insieme al bar: loro ordinano una “clara” (birra e limonata) io non ho cuore di bere birra così presto e opto per una coca cola (che per me è già abbastanza inconsueta per quest’orario ma dà una bella energia per camminare). Dopo colazione ripartiamo insieme verso Hontanas. Il paesaggio è meraviglioso: un oceano di grano di cui non si vede il termine. Il sole comincia a picchiare ma un leggero vento non fa sentire il caldo. Con i due catalani abbiamo passi diversi e quindi ci dividiamo: Melchor corre come un treno e va avanti, io sto un po’ più indietro e Agos se la prende comoda indietro. Sulla strada verso Hontanas incontro una signora dai lineamenti sudamericani che si riposa sul ciglio della strada mangiando una banana. Mi saluta e mi chiede se sono brasiliano. In effetti indosso una maglia con la scritta BRAZIL. Le rispondo che sono italiano e lei quindi mi inizia a parlare in un perfetto italiano. Mi racconta che i suoi genitori sono del Molise e si sono trasferiti in brasile. Facendo attenzione, infatti, parla con un leggero accento molisano (incredibile!). Si chiama Maria e mi racconta un po’ del suo cammino. Io le dico che sto andando a San Nicolas all’hospital gestito dagli italiani della confraternita di Perugia. Lei invece si fermerà prima: fa delle tappe più brevi delle mie. Mi chiede se le faccio una foto e poi mi saluta calorosamente. Riprendo il cammino ed arrivo nei pressi di Hontanas, nel punto in cui un cartello mi avverte che mancano 500 metri al paese. Il paese però non si vede! Ma dov’è? Proseguendo qualche metro ti compare improvvisamente nascosto dentro una grande “buca”. Entro in paese e incontro Melchor che si è già seduto al tavolo del bar a sorseggiare un’altra birra aspettando Agos che è rimasto indietro. Io intanto ne approfitto per andare alla tienda del paese e comprare frutta e cioccolata per spezzare un po’ la fame. Torno al tavolo da Melchor e mi mangio la mia pesca e poi un bel pezzo di cioccolata. Intanto arriva finalmente anche Agos e i due entrano nel bar per ordinare da mangiare. Io non ho intenzione di pranzare già ora e poi ho da percorrere più chilometri di loro che si fermeranno a Castrojeriz perciò li saluto e proseguo. Arrivo all’una passata a San Anton: ex convento ora in rovina trasformato in albergue (quasi a cielo aperto). La struttura è meravigliosa, anche se ora è in rovina. È un gran peccato perché doveva essere un gran bel convento. Ora è diventato un albergue: tra le rovine sono stati ricavati degli ambienti sotto alcune tettoie e si ospitano i pellegrini. Mi fermo qualche minuto su una panchina a respirare l’aria di pace che c’è in quel luogo e poi proseguo per Castrojeriz cui si arriva dopo aver percorso un bel viale alberato (anche se su asfalto) che a quest’ora può far solo piacere. Arrivo a Castrojeriz dopo le due ed il paese è quasi deserto. Ingenuamente non ho comprato nulla per il pranzo e ora tutti i negozi sono chiusi. Nella piazza del paese c’è solo un capannello di persone intorno a dei pellegrini che viaggiano con un carretto trainato da un asino. Il carretto è segnalato da una curiosa bandierina. Sicuramente si fanno notare lungo il cammino. Piuttosto affamato mi rifugio in un bar per mangiare un panino. Finito il panino, mi reco all’albergue municipal per riposarmi un po’ prima di percorrere gli ultimi 10 km per arrivare a San Nicolas. All’albergue incontro Agos e Melchor che si fermano qui e mi augurano Buen Camino. L’hospitalero è molto gentile: mi fa accomodare, mi fa riempire la bottiglia d’acqua e si ferma a chiacchierare con me. Gli dico che sono diretto a San Nicolas. Mi dice che è un bellissimo albergue con cui sono in buoni rapporti. Mi dice però di fare attenzione: sono già le tre passate e potrebbero avere pochi posti ed inoltre dopo Castrojeriz c’e una ripida salita e una ripida discesa. Rispondo che spero di trovare comunque posto (confido nella Provvidenza) e che se non ci sarà posto li pregherò di farmi dormire anche per terra. Dopo un breve riposo proseguo per San Nicolas. Sulla strada non c’è nessuno, neanche i ciclisti: fa parecchio caldo. Mi avvio sulla salita che sotto questo sole è particolarmente dura. Una lapide ricorda un povero pellegrino che non ce l’ha fatta a proseguire. Per fortuna sono ben fornito di acqua e poi in alcuni punti della salita ci si può fermare e sentire il forte vento che ti rinfresca dal gran caldo. Dopo qualche sforzo arrivo in cima alla salita e mi riparo sotto una tettoia che da quel che ho capito sembra essere un’area di riposo per cavalli. Dopo un bel riposo proseguo e dopo un breve tratto in piano c’è la discesa verso Puente Fitero. L’hospitalero di Castrojeriz mi aveva detto che da quel punto avrei visto in lontananza San Nicolas, ma io non vedo proprio niente. Imbocco la discesa che deve esser stata lastricata di recente. Dopo un bel tratto che a me sembrava non finire mai finalmente arrivo a San Nicolas verso le 17. ad accogliermi trovo l’hospitalero Augusto di cui subito riconosco l’accento toscano. Mi assegna l’ultimo letto libero e mi illustra le informazioni sull’ospitale. Faccio subito la conoscenza di due italiani: Marcello e Vincenzo. Marcello è arrivato poco prima di me. Arriva da Burgos e oggi si è fatto 50 km proprio per arrivare a San Nicolas. Dopo la doccia mi sento molto meglio e mi metto a chiacchierare fuori con Marcello. Fa piuttosto freddo. Il sole sta piano piano calando e c’è un gran vento. Bisogna ripararsi sotto una bella felpa. Marcello mi racconta che siamo stati fortunati a trovar posto: i nostri due ultimi posti erano stati inizialmente occupati da una coppia italiana. La ragazza però aveva delle punture e quindi sono stati accompagnati dall’altro hospitalero (di cui non ricordo il nome) all’ospedale più vicino per delle cure ed avevano abbandonato il posto. Si fa ora di cena e ci raggiunge il rettore della Confraternita Paolo Caucci. Prima di cena gli hospitaleri lavano i piedi di tutti noi pellegrini. È un gesto bellissimo apprezzato da tutti noi. Dopo la lavanda dei piedi, ceniamo tutti insieme a lume di candela visto che nell’ospitale manca la luce elettrica. A cena oltre a me, Marcello e Vincenzo siedono Monica di Cuneo, una ragazza francese e una spagnola e due signore messicane. La cena è ottima e abbondante (pasta e salumi) così come il vino. L’atmosfera è sempre più allegra (sarà il vino?). Durante la cena bussa alla porta un pellegrino visibilmente cotto dal sole. Dice di arrivare da Burgos e cerca un posto per dormire. Gli hospitaleri dicono che i letti sono pieni ma che si può fermare a mangiare con noi. Il ragazzo accetta volentieri: per fortuna il mangiare non manca! Durante la cena il rettore della confraternita ci racconta la storia dell’ospitale e da come l’abbiamo recuperato dalla rovina in cui si trovava. È una bella storia e tutti lo ascoltiamo interessati. Dopo cena il ragazzo ultimo arrivato viene invitato a restare (anche se dormirà per terra...) mentre Vincenzo imbraccia la chitarra e inizia a suonare la chitarra. Anche il rettore nonostante debba andare via s’intrattiene ancora un po’ con noi per ascoltare le belle canzoni popolari napoletane che Vincenzo sta suonando. Balliamo e cantiamo tutti insieme finché Augusto non ci manda tutti a dormire. È tardi e domani ci aspetta un altro giorno di cammino.

(continua)
 
22 luglio 2011 San Nicolas de Puente Fitero – Carrion de los Condes (35 km)
Il mattino seguente vengo svegliato dalla grande caffettiera dell’ospitale. Augusto, infatti, sta già preparando la colazione per noi tutti pellegrini. L’odore del caffè mi ricorda l’Italia e l’aria di casa. Stanotte ho dormito proprio della grossa. Facciamo colazione tutti insieme sempre a lume di candela. Dopo la colazione allo spuntare del sole usciamo fuori dall’entrata dell’ospitale per recitare una preghiera dedicata a noi pellegrini che stiamo per riprendere il nostro cammino. Dopo la preghiera, riparto con Marcello per un’altra giornata di cammino. Entrambi siamo diretti a Carrion de Los Condes quindi decidiamo di fare la tappa insieme. Parliamo delle nostre esperienze di cammino: per lui è tardi partire alle sette passate. Lui è solito, dato che fa tappe lunghe, partire presto (anche alle 5,30). Io invece penso che nel cammino si debbano rispettare i tempi del corpo, compreso il tempo del sonno. Non ho alcuna intenzione di mettere mai la sveglia e ho intenzione di partire (come oggi) quando mi sveglio. Arriviamo a Boadilla e cerchiamo dell’acqua ma non troviamo la fonte. Chiediamo ad un abitante del posto se ci può riempire la borraccia e gentilmente ce la riempie. Proseguiamo per Fromista costeggiando il Canale di Castiglia: ma chi l’ha detto che la meseta è solo grano? Ed io che mi aspettavo il deserto del Sahara. Guarda qui quanta acqua c’è! Tra una chiacchiera e l’altra arriviamo a Fromista, dove visitiamo la chiesa e facciamo la spesa per il pranzo. Ci fermiamo su una panchina al sole a fare uno spuntino: frutta e cioccolata. Marcello, che è uno sportivo, si raccomanda di mangiare banane che contengono potassio. Le banane, anzi i platanos, come li chiamano qui, saranno una costante in tutto il cammino. Fa piuttosto fresco tanto che indosso la felpa, anche se sto al sole (ma non doveva fare caldo nelle mesetas?). Per non raffreddarci troppo riprendiamo il cammino e incrociamo Vincenzo che continua con noi. Ci racconta un po’ del suo cammino. È partito da Pamplona proprio quando c’era la festa di San Firmino. Si gode il cammino perché ha molto tempo a disposizione e non ha prenotato il ritorno. Fa tappe brevi o lunghe a seconda di come si sente e, se si trova bene in una città, si ferma anche più di una giornata. È proprio una gran fortuna avere del tempo a disposizione. Lungo la strada si unisce a noi Leda, una ragazza rumena che però parla perfettamente l’italiano perché lavora a Firenze. Proseguiamo per Villalcazar de Sirga, dove pranziamo tutti insieme. Vincenzo non ha fatto la spesa perciò Marcello ed io condividiamo quello che noi abbiamo con lui. Lui per ringraziarci ci offre il caffè. Da buon napoletano Vincenzo ama il caffè fatto alla napoletana. Qui in Spagna perciò è in sofferenza. Cerco di rassicurarlo: poteva andarci peggio! Ne ho bevuti di peggiori. Dopo pranzo convinciamo Leda a proseguire con noi fino a Carrion. Domani ci aspettano i famosi 17 km di nulla. Conviene affrontarli quando si è freschi al mattino. Vincenzo invece preferisce rimanere un altro po’ a riposarsi a Villalcazar. Ci raggiungerà più tardi a Carrion anche perché non ha neanche intenzione di dormire in albergue. È venerdì e vuole godersi un po’ di vita notturna e gli orari stretti degli albergue non permettono questa possibilità. Ben presto arriviamo a Carrion: il sole picchia ma il vento rende molto meno faticoso il cammino. Non alloggiamo dalle suore clarisse: Marcello vi ha già alloggiato in un cammino precedente e le celle di quel convento gli ricordano una spiacevole esperienza con altri pellegrini. Andiamo verso l’albergue parrocchiale in centro ma è pieno. Ci rivolgiamo perciò all’albergue Espiritu Santo. Anche qui è pieno ma la suora ci dice che se vogliamo possiamo dormire sulla colchoneta (materassino) a terra in chiesa. Noi accettiamo ben contenti. Non ho mai dormito in una chiesa… le suore ci fanno sistemare sui materassini. La chiesa è piena! Conosciamo anche altri gruppi di italiani: un gruppo della Valtellina e tre ragazzi di Bolzano. In cortile mi sento chiamare da Monica, la signora di Cuneo che era con noi ieri a San Nicolas. È venuta sin qui letteralmente trascinata dalle due messicane che erano anche loro a San Nicolas. Ci racconta che vanno come treni e che accodandosi a loro è riuscita ad avere un buon ritmo nonostante i problemi ai piedi che ha avuto fin dall’inizio del suo cammino. Io e Marcello usciamo per il paese. Andiamo al supermercato a fare scorte per l’indomani e lì incontriamo la coppia che ci ha “ceduto” il posto a San Nicolas. Marcello me li presenta: Antonietta e Roberto (in realtà non ricordo il nome di lui) sono della Puglia e chiedo a lei come vanno le bolle che l’hanno costretta ad andare all’ospedale. Dice che ancora le fanno male ma che stanno migliorando. Dopo il supermercato andiamo al parco a farci un giro. Marcello mi racconta che nello scorso cammino si era fatto un bagno nel fiume che lo attraversa, ma ora non è possibile perché la corrente è troppo forte. Qui incontriamo Vincenzo che sta già cercando compagnia per passare la serata. Lo salutiamo e andiamo a cena al ristorante. Oggi faccio il signore e mi concedo un bel menu del dia. Marcello mi consiglia di mangiare carboidrati la sera e quindi anche se a malincuore ordiniamo per primo i maccarones. Anziché maccheroni ci portano delle penne lisce condite con del sugo e della salsiccia. Alla fine per essere cucinati in Spagna non sono poi tanto male. Dopo cena corriamo in albergo. Fa proprio freddo qui. “Ma come farà Vincenzo a dormire fuori?” Infatti, lo incrocio nel cortile dell’albergue. “Ma che ci fai tu qui?”. Dice che non ha trovato compagni per passare la serata e che qui non c’è proprio vita. Solo un bar aperto e vuoto perché la festa è in un paese vicino ma lui essendo a piedi non può andarci. Ha deciso perciò di venire in albergue e mi racconta che la suora quando l’ha visto arrivare così tardi gli ha detto: tu hai bisogno di un letto! E così l’ha messo a dormire in una stanza con un letto. Che bella fortuna! Mi sa che conviene arrivare in ritardo…

(continua)
 
23 luglio 2011 Carrion de Los Condes – Moratinos (29 km)
Nonostante dorma per terra su un materassino, dormo della grossa fino alle sei quando vengo svegliato dagli altri pellegrini. Oggi la mia strada si divide da quella di Marcello. Lui arriverà a Sahagun. Io invece, dopo due giorni che faccio 35 km e oltre, voglio riposarmi un po’ ed evitare un’altra tappa da 40 km. Ho letto su internet che ha aperto un nuovo albergue italiano in quel di Moratinos. Penso proprio che farò tappa lì. Con gli italiani mi trovo sempre bene… Marcello è già partito e perciò parto da solo per affrontare i 17 km di nulla. Parto da solo ma ben presto mi trovo in mezzo ad una grande comitiva di persone. Non è per niente vero che non c’è nulla. Il paesaggio varia molto e non è sempre uguale. Prima l’uscita dalla città di Carrion, poi alberi, e poi campi di girasoli, qualche coltivazione e solo ogni tanto del grano. Insomma mi aspettavo peggio. Ho trovato molto più noiosi i 12 km prima di Los Arcos, in Navarra, che ho percorso l’anno scorso. Lì davvero non c’era niente. O forse ero io che ero impreparato. A circa metà percorso incontro un chiosco posto in una piccola area di descanso. Speravo ci fosse il bagno ma non c’è. È solo un chiosco. Chiedo perciò un succo di frutta. 1,50 euro. Un po’ caro. Non sembra un posto per assistere i pellegrini ma solo per scucir loro qualche soldo. Lungo la strada chiacchiero con i tre ragazzi di Bolzano, Luca, Federico e Pietro, che hanno dormito in chiesa con me a Carrion. Hanno appena finito la maturità e per l’estate sono partiti per il cammino. Proprio un’ottima scelta. Sono partiti da Burgos come me ma un giorno prima. Sono partiti con zaini troppo carichi così che hanno avuto problemi fisici già dal primo giorno. Camminano, infatti, abbastanza piano. Vado un po’ più avanti con Luca, che sta un po’ meglio fisicamente e va più veloce. Verso le 11 arriviamo a Calzadilla de la Cueza e ci fermiamo al bar a riposare un po’ aspettando gli altri. Per ristorarci un bel gelato Magnum. Ci raggiungono gli altri e poi ripartiamo tutti assieme. È troppo presto per pranzare. Arriviamo a Ledigos, dove loro si fermano a un bar a pranzare mentre io, che ho i panini acquistati il giorno prima a Carrion, vado alla ricerca di un’area di descanso (mi accontenterei anche di una panchina) per mangiare. Non c’è nulla di tutto questo e quindi mi tocca proseguire per Terradillos de Los Templarios. Incontro sulla mia strada un gruppo di pellegrini: Oliviero, l’anziano e saggio del gruppo, un ragazzo che di mestiere fa il podologo (è assalito dalle richieste di consigli dei pellegrini) e una ragazza di Roma che appena sa che anch’io sono di Roma non mi rivolge più parola (vai a capire perché…). Non sembrano aver voglia di fare tanta amicizia perciò li supero e arrivo a Terradillos dove proprio all’entrata del pueblo c’è una bella area di descanso con tavoli e un bel prato. Sdraiata sul prato a prendere il sole c’è una ragazza italiana, Margherita con cui inizio a chiacchierare. Intanto mi siedo al tavolo per preparare il panino. Ho con me una baguette intera che però ha bisogno di esser tagliata a metà. Dall’altro tavolo senza neanche che lo chieda una signora francese mi offre il suo coltello. Così mi preparo il mio mega panino. Una baguette intera piena di chorizo. Margherita non resiste alla tentazione di farmi una foto mentre addento il panino. Mi offre una stuoia (ne ha una in più) per sedermi sul prato insieme a lei. Chiacchieriamo un po’ del cammino. Dice di essere stanca del cammino e delle esperienze. Io le racconto che mi sto trovando invece molto bene e di essere contento. Tra le cose più belle, ad esempio, la permanenza a San Nicolas. Finito il panino, ringrazio per la stuoia e riparto per Moratinos, dove ha aperto un nuovo albergue italiano.
L’albergue di Terradillos non mi attira per niente. Mi sembra molto poco pellegrino e parecchio commerciale. In poco tempo arrivo a Moratinos e in lontananza vedo l’albergue fuori dal quale sventola una bella bandiera italiana. È bello vedere che ci sia un po’ d’Italia anche in questo paesino sperduto della Tierra de Campos. Entro e mi accoglie quella che poi scopro essere un’amica della figlia dell’hospitalero, venuta a dare una mano per un periodo durante le vacanze estive. L’albergue è molto carino. Nuovo, pulito con un bel giardino interno con fontana al centro. Faccio la conoscenza di Bruno, l’hospitalero nonché anima dell’albergue. Mi dice che si è trasferito da Brescia per vivere sul Cammino di Santiago e che ha aperto questo nuovo albergue a Pasqua. Dopo essermi sistemato scambio quattro chiacchiere in giardino con Claudio, ragazzo della Valtellina staccatosi dal resto del gruppo per venire qui a Moratinos e un signore di Brescia che è qui già da due giorni: deve riprendersi da problemi fisici e inoltre credo si sia fermato anche perché qui si sta proprio bene. Ci raggiungono altri pellegrini: Margherita, che si ferma anche lei qui, una coreana e due simpatiche signore francesi. Arriva ora di cena e Bruno, con l’aiuto della figlia e dell’amica, ci ha preparato un menù tutto italiano: pasta alla carbonara, pizza margherita e crostata di frutta tutto accompagnato dal vino tinto di queste zone. Noi pellegrini affamati spazziamo via tutto e la cena scorre in allegria tra racconti aneddoti e tante risate. Verso la fine della cena Bruno si siede con noi e ci racconta un po’ della sua nuova esperienza da hospitalero. Dice che è stata dura, soprattutto all’inizio. Ora invece si sta ambientando in questo minuscolo paese nella provincia di Palencia: sono solo 13 abitanti (lui incluso) ed ha intenzione di rimanere aperto anche in inverno. ora all'entrata del paese stanno costruendo un hostal ma non è preoccupato della concorrenza: è per pellegrini ricchi. Lui ha recuperato questo edificio che era in rovina. Per fare i lavori ha dovuto far arrivare una ditta dall’Italia perché gli spagnoli avevano dei tempi molto lunghi. Poi i burocrati di Palencia gli hanno messo i bastoni tra le ruote in molti modi ed anche adesso che ha aperto gli hanno inviato delle multe salatissime per delle sciocchezze. ad esempio perché aveva messo i letti attaccati l’uno all’altro (ma non hanno visto che mettere i letti attaccati per guadagnare spazio è una pratica diffusissima negli albergue?) o perché non ha esposto il cartello blu BAR – RISTORANTE. Dice però che le risate di noi pellegrini a tavola mentre lui è in cucina a preparare lo ripagano di tutti i sacrifici. Rimaniamo a chiacchierare per po’ finché non si fa ora di andare a dormire. Domani si continua il cammino.

(continua)
 
24 luglio 2011 Moratinos – El Burgo Ranero (28 km)
Mi sveglio con calma. Come sono solito fare fin da quando ho ripreso questo cammino. Non voglio mettermi fretta. Vado al bancone del bar e Bruno mi serve la colazione che è su ordinazione. Mi prendo come quasi tutte le mattine il caffè con leche e una tostada con una magdalena che regolarmente inzuppo nel caffè. Parto verso le 7,15 e nella piazzetta di Moratinos incontro tutti quelli che sono rimasti a dormire a Terradillos de Los Templarios senza proseguire per Moratinos che sono partiti prima e sono arrivati ora a Moratinos. Re - incontro il gruppo della Valtellina e Luca, Federico e Pietro, i ragazzi di Bolzano. Con questi ultimi m’incammino verso il paese di San Nicolas. Mi raccontano che a Terradillos non si sono trovati bene. L’hospitalera era antipatica e inoltre hanno mangiato pasta col ketchup. Io racconto invece la bella esperienza da Bruno. Dopo qualche chiacchiera ci separiamo: vanno più piano rispetto a me perché hanno ancora dei problemi fisici. Perciò proseguo da solo. Arrivo al paese di San Nicolas e lo attraverso senza fermarmi. All’uscita del paese una freccia indica di svoltare a sinistra. Io preso dai miei pensieri non la vedo e proseguo dritto. Dopo qualche metro sento dei fischi che mi richiamano. Sono gli altri pellegrini che da dietro vedendomi sbagliare strada m’indicano la strada giusta. Grazie davvero. Mi hanno risparmiato una bella pena per ritrovare il Cammino. Sulla strada per Sahagun incontro Antonietta e il suo compagno, la coppia che ci ha ceduto il posto all’Ospitale di San Nicolas. Poco prima di Sahagun il cammino devia. Non capisco il motivo: vedo il paese di fronte a me ma il cammino gira a sinistra. Poco più avanti scopro il motivo. La deviazione serve per far passare il cammino davanti l’Ermita de la Virgen del Puente. Ne approfitto per fare una piccola sosta su una panchina e godermi il primo sole mattutino mentre Antonietta e il suo compagno proseguono per Sahagun. Dopo una breve pausa proseguo ed entro in città. Alla prima fonte mi fermo a bere e faccio la conoscenza di Ettore, un ragazzo toscano, che è fermo lì a riposare. Dopo aver scambiato due parole con lui, proseguo per il centro città. Mi fermo in un bar pasticceria con un banco dei dolci molto invitante. Non posso resistere e mi fermo per la seconda colazione. Mi siedo al tavolo con Antonietta e il suo compagno arrivati prima di me. Parliamo un po’ di cammino e di pellegrini: dico loro di voler arrivare a Leon domani. Domani sarà, infatti, la festa di San Giacomo e sicuramente sarà festa grande anche a Leon. Loro rimangono un po’ perplessi perché secondo loro è troppo lunga. Ma io mi sento bene e ho il passo lungo. Dopo colazione vado al negozio lì di fronte a comprare provviste per il pranzo e riparto diretto a Bercianos. Dopo un paio d’ore sono in paese. L’albergue di Bercianos, famoso per la sua accoglienza, è in fondo al paese. fuori dall’albergue molti pellegrini aspettano che apra per prendere posto. Mi piacerebbe anche a me fermarmi a dormire lì, ma è ancora presto e poi se voglio arrivare a Leon domani devo proseguire. Mi fermo al cortile esterno all’albergue a un tavolino per mangiare e incontro con mia grande sorpresa Vincenzo. L’avevo lasciato a Carrion de Los Condes e non avevo più sue notizie. Mi dice che dopo Carrion è arrivato fino a Sahagun dove ha ritrovato Marcello. Ha cenato con lui e poi è uscito per passare il sabato sera fuori in compagnia di altri pellegrini. Dopo la delusione di Carrion ha almeno potuto passare la serata in allegria come desiderava. Vincenzo è arrivato a Bercianos già da parecchio ed è indeciso se fermarsi lì (anche lui sa che è Bercianos è rinomato per l’accoglienza) o proseguire. Gli dico che io a malincuore intendo mangiare qualcosa e poi proseguire per El Burgo Ranero. Decide di unirsi a me. Condividiamo il pranzo: io gli cedo un po’ del mio pane, lui mi dà degli ottimi fagiolini sott’olio. Mi faccio perciò un ottimo panino prosciutto e fagiolini. Delicatissimo! Dopo pranzo proseguiamo insieme per El Burgo Ranero. Arriviamo nel primo pomeriggio all’albergue “Domenico Laffi”. Per fortuna ci sono ancora posti liberi. L’albergue è molto carino. È a donativo ed è ben tenuto. L’hospitalero è poi molto simpatico e ci accoglie bene.
Ci sistemiamo in albergo. Io mi vado a fare la doccia mentre Vincenzo va in giardino a fare un po’ di yoga. Dice che dopo una lunga camminata ne sente un gran bisogno. Io dopo la doccia con gran piacere ritrovo Monica, la signora di Cuneo, che avevo visto l’ultima volta a Carrion. Ci sediamo tra le panche della stanza principale dell’albergue e ci raccontiamo dei nostri rispettivi cammini. Le racconto di Moratinos. Lei è invece rimasta a Terradillos: dice che quel posto le ha fatto talmente tanta tristezza che è andata a letto alle otto. Mentre chiacchieriamo, vediamo l’hospitalero che poggia due cesti davanti ad una specie di altarino al centro della stanza. In un cestino ci sono delle piume. Nell’altro dei sassi. Siamo interdetti e non capiamo che significato possano avere. Intorno a noi gli altri pellegrini si siedono sulle panche in circolo. Capitiamo senza volerlo in questo momento comunitario. L’hospitalero dà la parola a ogni pellegrino che si presenta e dice da dove viene e qualche parola sul cammino. Tra i pellegrini facciamo la conoscenza di Maria e la sua mamma che, partite da Roncisvalle, tornano a casa loro... a Santiago! Sono, infatti, galiziane di Santiago. Poi c’è Martin, un piccolo pellegrino di otto anni molto vispo e intelligente, di Barcellona che fa il cammino col suo papà. Dopo le presentazioni, un pellegrino suona un brano alla chitarra. Dopo la canzone, l’hospitalero passa tra i pellegrini con i due cestini in mano. Il pellegrino dovrà prendere una piuma se per lui il cammino è stato leggero, una pietra se è stato pesante, una piuma e una pietra se per lui è stato sia leggero sia pesante. Io prendo la piuma: finora non ho avuto alcun problema e non proprio nulla di cui lamentarmi. Ci raggiunge in tempo per la scelta anche Vincenzo che ovviamente sceglie la piuma. Dopo un Padre Nostro, il circolo si scioglie e si fa ora di cena. Con Vincenzo e Monica decidiamo di cucinare un bel piatto di pasta. Andiamo all’unica tienda del paese che a quest’ora è presa d’assalto. Al negozio incontriamo i tre ragazzi di Bolzano che hanno dovuto proseguire fin qui perché a Bercianos era pieno. Mi prendono in giro dandomi dell’alcolista perché cerco il vino per cena. Rispondo che il vino a cena rientra tra i tanti piaceri del cammino. Dopo aver fatto spesa con Vincenzo e Monica torniamo in albergue. Vincenzo si offre di cucinare. Noi lo aiutiamo. Si vede che ci sa fare in cucina. Oltre a suonare sa anche cucinare bene. Viene fuori un’ottima pasta con pomodoro tagliato fresco, peperoni e funghi. Tutto l’albergue si affaccia in cucina attirato dal profumino della pasta in padella. Ci mettiamo a mangiare sui tavoloni della sala. Invitiamo ad assaggiare la pasta Maria e la sua mamma che anche se hanno già mangiato accettano di assaggiare. Sopraggiungono poi Oliviero e tutto il gruppo che avevo incontrato sulla strada prima di Terradillos. Monica li conosce perciò si fermano un po’ a chiacchierare con noi. Hanno mangiato il menu del dia al ristorante ma il podologo accetta di fare il bis con la nostra pasta. Dopo cena Vincenzo imbraccia la chitarra e ci delizia con le sue canzoni popolari napoletane. È davvero bravo e molti pellegrini si fermano ad ascoltarlo. Alle 22 l’hospitalero ci manda tutti a dormire. Domani ci si alza presto. Ci aspetta una lunga strada per Leon!

(continua)
 
25 luglio 2011 El Burgo Ranero – Leon (38 km)
Ci svegliamo presto. Anche Vincenzo abituato a partire tardi si alza alle 6. d’altronde la strada è lunga fino a Leon. Facciamo colazione in albergue o almeno ci proviamo… perché la colazione non l’abbiamo comprata. Lui però ha del miele, io dei biscotti. Riusciamo a rimediare un po’ di pane e del latte e abbiamo risolto. Partiamo e all’uscita del paese vediamo un’immagine che Vincenzo definisce da National Geographic: in mezzo al paese deserto una signora anziana con in testa un telo arcobaleno seduta su un muretto che guarda fisso davanti a sé probabilmente aspettando il sole che sta per sorgere. Neanche il nostro passaggio la distrae. È la prima volta che mi capita di vedere una scena simile. Sono senza parole. Proseguiamo dritti per la strada asfaltata che porta a Reliegos. Sono ben tredici chilometri e per tutto il tempo parlo con Vincenzo delle nostre vite. Sono molto diverse: lui è un musicista e un insegnante di sostegno ed è pieno d’interessi e di attività. Io faccio una vita più monotona impegnato a finire l’università. Sono comunque molto affascinato: è una bella persona. Arriviamo a Reliegos e ci fermiamo al bar: io mi faccio il solito cafè con leche e la tostada, lui invece punta sulla tortilla. Mentre siamo lì passa Monica. Incredibilmente lei che parte sempre presto stamattina è partita tardi perché è finalmente riuscita a dormire bene. Nonostante tutti i guai che ha avuto ai piedi, va come un treno anche con l’aiuto dei bastoni telescopici. Lei non ha intenzione di arrivare fino a Leon: dice che vuole evitare i caotici megaostelli delle grandi città e perciò si fermerà ad Arcahuela, poco prima di Leon. Ha comunque fretta di andare e riparte subito senza fermarsi con noi. Poco dopo anche noi, finita la colazione, ripartiamo verso Mansilla De Las Mulas dove arriviamo per le 11,30. poco dopo l’entrata attraverso le mura antiche, ci fermiamo a un bar - albergue con giardino esterno tutto arredato con ombrelloni tavolini e divanetti ottimi per il riposo. Incontriamo il gruppo della Valtellina che stanno già “gozzovigliando” con birra e aperitivi. Partiti da vicino Sahagun hanno fatto una camminata notturna attraverso la variante del cammino che passa per la via Romana e ora si fermano qui a Mansilla. Ci fermiamo un po’ con loro (si sta proprio bene in questo giardino) e poi andiamo a fare spesa per il pranzo. Il paese sembra carino ma è troppo presto per fermarsi e poi vogliamo arrivare a Leon. Siamo stanchi di mangiare salumi e perciò su consiglio di Vincenzo compriamo il necessario per un panino alternativo: compriamo un vasetto pieno di peperoni sott’olio e dello sgombro in scatola. È un abbinamento un po’ insolito ma mi fido del gusto culinario di Vincenzo che se ne intende. Proseguiamo lungo il cammino che costeggia la trafficata nazionale. Oltre all’inquinamento siamo disturbati soprattutto dal passaggio dei camion: lo spostamento d’aria fa volare i nostri cappelli di paglia. Arriviamo a Puente Villarente, dove ci fermiamo a mangiare ad un comodo tavolo da picnic con vicina fontanella appena fuori dal paese. Ci prepariamo i nostri panini è l’abbinamento peperoni sott’olio e sgombro è davvero buono. Di certo non lo dimenticherò mai nella vita. Dopo un breve riposo e un caffè al bar nel paese ripartiamo verso Arcahuela. Il sole a quest’ora è parecchio caldo. E poi il traffico della nazionale peggiora la sensazione di calore. Vediamo superarci dei pellegrini tedeschi con degli scarponi da far paura. Ma con questo caldo e quest’asfalto la vescica è assicurata! A fatica arriviamo ad Arcahuela. All’entrata del paese troviamo un’ottima area di descanso. Sotto una tettoia ci sono delle panchine vicino a delle fontane con delle grandi vasche piene d’acqua fresca. Ne approfittiamo per fermarci e immergere i piedi nelle vasche. I piedi a bagno nell’acqua fredda sono un gran ristoro e ci sentiamo di nuovo subito meglio. Dio benedica quest’area di descanso. Dopo esserci ritemprati, ripartiamo e attraversiamo il paese. Verso Valdelafuente incontriamo una pellegrina: è Paula, una bella ragazza spagnola di piccola statura dai lunghi capelli biondi partita da casa sua a Jaca, sul cammino Aragonese. Proseguiamo quindi con lei entrando a Leon. L’entrata in città è orrenda. A mio parere molto più brutta dell’entrata a Burgos. Qui è un labirinto tra capannoni industriali e cavalcavia. Finalmente entriamo nella città vera e propria. Paula pur non essendo di queste parti va a colpo sicuro guidandoci verso il centro. Troviamo subito il monastero delle Benedettine. Ci accolgono e ci assegnano un letto nell’affollata camerata. Ci dicono che oggi in occasione della festa di Santiago alle 20 verrà allestito in giardino un rinfresco per i pellegrini. Mi sistemo e in camerata incontro Antonietta e il suo compagno: sono stupito di trovarli lì visto che mi avevano detto che per arrivare a Leon ci avrebbero messo un giorno in più, ma mi spiegano che hanno dormito la notte prima a Bercianos e che Antonietta ha avuto di nuovo problemi con le punture d’insetto e che quindi sono venuti a Leon per farsi medicare. Sono imbufaliti perché sono capitati con un vicino a loro sgradito: mi raccontano che a Bercianos hanno dovuto dormire per terra fuori dalla loro stanza per non sentire i versi disumani di un russatore particolarmente molesto. Chiedono perciò all’hospitalero di cambiare stanza. Dopo la doccia vado con Vincenzo al bar fuori dal monastero per una birra. In giro c’è poca gente. Oggi è giorno di festa ma mi dicono che la festa vera l’hanno fatta la sera prima. Il monastero chiude alle 21,30 quindi comunque c’è poco da fare festa. Si fanno le 20 e quindi rientriamo in albergue per il rinfresco. La tavola è imbandita e già circondata dai primi avventori. Sul tavolo ci sono empanada (una specie di torta rustica), salame, panini, patatine e olive in abbondanza. Facciamo la conoscenza di vari pellegrini (in particolare tre ragazze di Montecarlo Morgane Erika e Chloè che iniziano da qui il loro cammino) e Vincenzo inoltre mi presenta i suoi tanti amici che ha conosciuto lungo il cammino. Finita la cena, usciamo per vedere almeno la cattedrale della città. Il tempo di arrivare e farmi una foto davanti la splendida chiesa che già si sono fatte le 21,30 ed è ora di tornare in albergo perché chiude. Vincenzo non ci sta a tornare così presto: incontra alcuni suoi amici e decide di restare fuori per godersi la serata. Rimaniamo che quando vorrà rientrare in albergo mi chiamerà al cellulare ed io scenderò ad aprirgli. Ritorno in albergo e mi fermo un po’ in cortile. È troppo presto per andare a letto. Mi fermo a chiacchierare con gli unici italiani presenti: Oliviero e il suo gruppo. Ma non devo star loro troppo simpatico. Chiedo ad Oliviero per curiosità dove sono diretti domani e lui mi risponde: “Non te lo dico”. Ah vabbè. Chiedevo così tanto per dire: mica ho intenzione di aggregarmi a voi. Buon cammino! Poco dopo vado a letto. Sono stanco e riesco a dormire ma è un sonno disturbato: dal caldo e dai russatori. La camera è molto piccola ed è stipata di letti a castello con finestre molto piccole, Hanno lasciato persino le porte chiuse quindi si crepa di caldo e non si respira. Verso l’una sento vibrare il cellulare. È Vincenzo che mi chiama che vuole rientrare. Scendo giù e ci parliamo attraverso il portone che però è chiuso a chiave. Cerco la chiave ma non la trovo. Per sicurezza sicuramente la terrà l’hospitalero. Vincenzo è così costretto a rimanere fuori. Io me ne torno nella camera. Apro la porta per far circolare l’aria perché tra dentro e fuori ci saranno dieci gradi di differenza, ma non serve a molto. Passo una notte semi-insonne e col sonno disturbato. Ha ragione Monica a voler evitare gli ostelli nelle grandi città.

(continua)
 
26 luglio 2001 Leon – Villadangos del Paramo (20 km)
Mi sveglio di buon mattino. Il risveglio è stato una specie di liberazione dopo la notte insonne tra caldo e roncadores. Alle sei vado a fare la colazione, offerta dall’albergue. Miei vicini di posto sono Antonietta e il suo compagno. Loro dicono di aver dormito bene nell’altra stanza e mi compatiscono. Dopo la colazione ritorno in camera per andarmene e arriva Vincenzo. Dopo esser rimasto fuori dall’albergue delle Benedettine, è andato all’albergue municipal che si trova in periferia e non chiude la notte. Ha trovato lì posto dormendo sul divano. Sicuramente ha dormito meglio di me… Esco. Mi voglio recare in Cattedrale e vedere un po’ la città visto che il giorno prima non ho potuto farlo. Arrivo verso le otto nella piazza principale ma è ancora chiusa. In città non gira quasi nessuno. Mi godo lo spettacolo della facciata seduto su una panchina irradiata dal primo sole del mattino. In attesa che apra mi reco alla vicina chiesa di Sant’Isidoro che ieri Oliviero mi ha consigliato di visitare. In effetti è speciale: è dedicata alla preghiera e alla riflessione. Quando arrivo è appena finita la Messa ma c’è l’adorazione eucaristica. Mi siedo tra i banchi a pregare nel silenzio della chiesa semivuota. Dopo torno in Cattedrale che ha appena aperto. È spettacolare la luce che attraversa le vetrate dai mille colori. In sottofondo gli altoparlanti mandano i canti gregoriani. Dopo aver fatto un giro, mi siedo tra i banchi a pregare. Nei banchi vicini riconosco Vincenzo e Paula, anche loro, ognuno per conto suo, visibilmente commossi. Rimango tra i banchi qualche minuto e poco dopo mi alzo per andare a salutare Monica che è appena arrivata. Anche lei è impressionata dal posto. C’è da dire che anche l’orario è favorevole: le invasioni di turisti devono ancora arrivare. Saluto Monica ed esco. Sulla piazza incontro le galiziane, Maria e la sua mamma che, come Monica, hanno dormito alle porte di Leon ad Arcahuela in un tranquillo albergue privato. Poco dopo ci raggiunge Vincenzo. Le galiziane ripartono e Vincenzo ed io ci andiamo a prendere un bel caffè. Lui ha deciso di fare uno stop di un giorno qui a Leon per riposare e vivere in fondo le emozioni che questa città gli può offrire. Dopo il caffè è l’ora dei saluti: il cammino mi chiama. Mi mancherà Vincenzo con la sua allegria e le sue canzoni. Prima di lasciare Leon voglio fare un po’ di spesa. Mi piacerebbe trovare un forno per comprare un po’ di pane e magari un dolcetto ma dopo aver girato come una trottola e aver trovato un solo forno, ma chiuso il martedì cioè oggi, mi accontento di un alimentari, dove faccio scorta di cibo. Girando così per il centro ho perso le frecce. Ritrovare il cammino è un altro lungo giro per la città. Quando ritrovo le frecce, sono già stanco e mi fermo davanti ad un chiosco informazioni, dove c’è una panchina al sole e una fontanella per riposarmi. Passa davanti a me un pellegrino che cammina parlando al telefonino. Sento che è italiano. Lo saluto e mi fa cenno di andare con lui. Io mi sono appena seduto e dico che mi devo riposare. Mentre si allontana, vedo che sullo zaino ha esposto una foto di un bambino piccolo. Mi chiedo chissà che bella storia c’è dietro questa persona che cammina con la foto di un bambino appesa allo zaino. Tra una cosa e l’altra si è fatto già mezzogiorno passato ed io ancora devo iniziare la tappa. Mentre sto per ripartire, sopraggiunge Paula anche lei in uscita da Leon. Lei il forno a Leon l’ha trovato visto che ha in bella vista una bella baguette. Iniziamo a camminare insieme attraversando la periferia della città. Visto il mio scarso spagnolo, comunico a gesti e in italiano condito dalle parole di spagnole che conosco. Le insegno le differenze tra italiano e spagnolo: ad esempio (salida che non vuol dire salita ma uscita) e lei mi spiega le parole di spagnolo che non capisco. Tra una chiacchiera e l’altra ben presto arriviamo alla Virgen del Camino. Dove troviamo appena fuori dalla nazionale una piazza con una panchina dove condividiamo il pranzo. Paula mi offre pane e cioccolata (che c’è di più buono?). dopo pranzo i nostri cammini si separano: lei prende la variante per Villar de Mazarife che passa per i campi. Ama la natura (è ingegnere forestale) ed è stanca del traffico della nazionale. Io invece preferisco rimanere sul cammino principale: è più corto e poi ho pensato che tanto il sole picchia su entrambi i cammini, data l’assenza di alberi. Proseguo perciò da solo lungo il cammino parallelo alla nazionale. Il sole picchia parecchio e camminare sotto questo sole è parecchio dura. Il traffico della nazionale inoltre infastidisce parecchio: l’avevo sottovalutato. Arrivo parecchio stanco a Valverde, dove cerco una fonte perché sono senza acqua. Non la trovo perciò entro in un bar per farmi riempire la bottiglia: mi hanno detto che qui in Spagna i bar avrebbero l’obbligo di riempire le bottiglie d’acqua. Il barista mi dice che più avanti lungo la nazionale c’è una fonte. In effetti, è così. La fonte è costituita da un semplice tubo che esce da un muretto. Alla fonte incontro Ettore, il ragazzo toscano incontrato a Sahagun anche lì nei pressi di una fonte. Non ci sono cartelli che indichino la potabilità dell’acqua però io ho una gran sete e quindi bevo comunque. Ci fermiamo lì a riposare e mentre siamo lì, vediamo che c’è un viavai continuo di automobilisti che si fermano lì a prendere acqua. Meno male… se la prendono i locali vuol dire che è buona. Dopo un breve riposo proseguo con Ettore: ma dopo un po’ lo lascio. Ha qualche problema fisico e quindi va piano. Io invece ho voglia di arrivare il prima possibile in albergue. Prima finisce questa tappa orrenda meglio è. Sono le 17 quando giungo sotto il solito sole a Villadangos del Paramo, mia meta odierna. Alla periferia del paese supero un gruppo di coreani. Non è bello farsi prendere dall’ansia del posto letto ma oggi ho proprio bisogno di riposo e di dormire. Arrivo in albergue e l’hospitalera, molto sbrigativa e poco accogliente, si limita a chiedermi i 4 euro per il pernottamento e a indicarmi dove si trova lo stanzone in cui dormirò. Nel letto accanto al mio c'è il signore che avevo incontrato all’uscita di Leon con la foto sullo zaino. È Francesco, simpatico e allegro signore pugliese e la foto sullo zaino è del nipote di due anni. Idealmente fa il cammino pure lui visto che ha un’apposita credenziale che Francesco fa timbrare contemporaneamente alla sua. In cucina ritrovo Monica: oggi ha fatto una tappa molto lunga. Partita da Arcahuela, voleva fermarsi alla Virgen ma ha trovato l’albergue chiuso senza possibilità che si apra. Ha dovuto così proseguire fin qui. Con altre due ragazze italiane sta cucinando dei maccarones con tomate frito (che tradotto significa mezze penne lisce con la passata di pomodoro) e stanco come sono accetto volentieri il loro invito a cena. Dopo cena il timore si diffonde tra i pellegrini: proprio davanti al nostro stanzone sta per iniziare la festa del paese che minaccia di durare tutta la notte con musica assordante. Perciò, preparati ad un’altra notte insonne, andiamo a letto. Francesco mi avverte però che ha trovato una bella soluzione all’italiana. Mi dice solo di tenermi pronto. Appena andati a letto, mi dice di alzarmi e di seguirlo velocemente. Mi porta in un’altra ala dell’albergue, nascosta da un paravento, dove ci sono dei letti nuovi, in piccole stanze tutte foderate di legno in una posizione molto riparata rispetto alla festa dove non si sente praticamente nessun rumore. Dormiamo come angioletti e dopo la notte insonne di ieri mi ci voleva proprio una bella dormita. Ci sono molti letti liberi: ma perché l’hospitalera che sapeva della festa non ci ha messo a dormire qui? Ha messo a dormire in una di queste stanzette solo il gruppo di coreani che, arrivato per ultimo, non ha trovato posto nello stanzone. Se questi sono i risultati, mi sa che arrivare ultimi non è per niente una brutta cosa.

(continua)
 
27 luglio 2011 Villadangos del Paramo – Astorga (26 km)
I rumori degli altri pellegrini che si preparano mi svegliano come ogni mattina. Ho proprio dormito bene anche se da clandestino in queste habitaciones riservate. Mi dispiace per gli altri che si sono ascoltati la musica tutta la notte. Sono le 6,30 e ancora si sente qualcuno che suona. Francesco parte con le due ragazze italiane con cui ho cenato ieri sera. Io me la prendo con più calma e parte poco dopo da solo. Quando esco, vedo dall’altra parte della strada gli ultimi reduci della festa che prendono la macchina per andarsene. M’incammino da solo per il cammino che continua lungo la nazionale. Non incontro nessuno fino a San Martin del camino, dove m’incrocio con un ragazzo e una ragazza slovena. Ci salutiamo ma vanno come treni. Ed io non ho voglia di correre. Dopo un’oretta, il cammino finalmente devia dalla nazionale per entrare a Hospital de Orbigo. Dopo il casino e il traffico della nazionale sembra di entrare in un’oasi di pace. Attraverso il lungo ponte e mi fermo a fare colazione al primo bar. Entro e ritrovo Francesco e gli altri italiani che però stanno andando via. Io invece mi fermo e mi godo la colazione al sole sulla terrazza del bar. Al tavolo accanto al mio ci sono Maria e la sua mamma, con cui scherziamo sulla notte a Villadangos dove loro, poverine, hanno dormito poco o nulla mentre io e Francesco siamo sgattaiolati nelle habitaciones “private”. Dopo questa bella colazione vado a fare spesa per il pranzo e riparto. All’uscita del paese c’è un bivio. Dritto c’è il cammino lungo la nazionale e a destra per campi. Son indeciso dove andare perché non ho indicazioni su quale senso. Due vecchietti del luogo mi dicono che molti prendono la via dei campi, anche se è di un chilometro più lunga. Faccio così anch’io anche perché sono stanco della nazionale. Proseguo così in solitaria lungo questi campi assolati incontrando quasi nessun pellegrino. Arrivo finalmente a San Justo de la Vega, dove mi mangio il mio bel panino tonno e maionese davanti alla chiesa del paese seduto su una panchina sotto gli alberi. Un gran bel ristoro dopo la lunga camminata sotto il sole. Arrivo ad Astorga per le 14. all’albergue molto grande e appena ristrutturato mi accolgono due hospitalere molto disponibili. Una mi spiega come funziona l’albergue e mi accompagna fin su in camera che si trova… in mansarda. Quattro piani a piedi. Per fortuna la tappa di oggi è stata breve! Comunque l’albergue, anche se grande, è ben organizzato e la stanza così come le altre è piccola quindi si sta bene! In terrazza incontro Monica che, partita come sempre prestissimo, è già arrivata da un pezzo. Sta aspettando di andare dal podologo: nell’ambulatorio che si trova dentro l’albergue dei giovani medici che si stanno specializzando in podologia, fanno pratica con i pellegrini che necessitano di cure. Mi dice che già in altri albergue ha trovato questo servizio gratuito. Ci mettiamo d’accordo per fare un giro della città insieme. Così mentre lei fa la visita, io mi vado a riposare e poi andiamo a fare un giro. Visitiamo il Palazzo Episcopale realizzato da Gaudì che ospita il Museo dei cammini. Il palazzo è molto bello e vale il prezzo del biglietto. Il museo dei cammini è... senza cammini. A mio parere tratta di tutto tranne che dei cammini: sono esposti calici, crocefissi per processioni ed altri oggetti antichi religiosi ma dei cammini proprio nulla! Ammiriamo la vicina Cattedrale ma solo da fuori! È incredibilmente chiusa (in realtà poi scopriremo che non era chiusa: per accedervi si deve passare per il Museo della Cattedrale e pagare il relativo costo del biglietto). Facciamo un giro in pasticceria per assaggiare le mantecadas (dolce tipico locale) e poi andiamo a cena e ci concediamo un bel menu del dia. Di tornare in albergue e fare a botte per cucinare nell’affollata cucina non abbiamo proprio voglia. A cena ridiamo e scherziamo sui nostri rispettivi dialetti: io romano, lei piemontese. Ci troviamo bene insieme. Mi fa un po’ da mamma qui sul cammino ora che la mia mamma è lontana.

(continua)
 
28 luglio 2011 Astorga – Foncebadon (26 km)
Oggi parto presto. Esco dall’albergue che è ancora buio, ma le luci della città consentono di camminare tranquillamente i primi metri. Mangio un paio di mantecadas avanzate da ieri, ma mi andrebbe proprio qualcosa di caldo. Mi chiedo perché sul cammino i bar aprano così tardi. Eppure guadagnerebbe bene un bar che aprisse presto per dare la colazione ai pellegrini soprattutto in una grande città. Proprio mentre faccio questi pensieri dietro l’angolo, spunta un bar aperto che dà la colazione ai pellegrini. Colazione pellegrina: caffè con leche, tostada e succo di frutta a 2,50€. Per fortuna qualche bar attento ai pellegrini esiste. Mentre entro nel bar incontro Monica che invece sta uscendo. Si offre di aspettarmi ma le dico di non preoccuparsi e di andare. Ci vedremo a fine tappa. Con calma mi gusto la mia colazione e faccio due chiacchiere con la bella e gentile barista. Esco da Astorga che sta per fare giorno. Sulla strada in uscita incontro Pablo, pellegrino di Burgos, e insieme percorriamo il lungo rettilineo in uscita dalla città. Ci stupiamo di essere superati da un’anziana signora locale. Va talmente forte che supera tutti i pellegrini. Accidenti. Mi fermo all’Ermita dell’Ecce Homo a Valdevejas appena fuori Astorga. Finalmente una chiesa che è aperta anche di mattina presto. Proseguo per Murias de rechivaldo incrociando sul cammino le due messicane incontrate a San Nicolas. Come mi aveva detto Monica hanno un’andatura molto particolare: hanno una camminata molto sbilenca ma si mantengo in equilibrio appoggiandosi ad un bastone basso e storto. Facendo così, praticamente corrono. Più avanti re-incontro Francesco che sta camminando con le due italiane con cui ho mangiato a Villadangos. Vanno però piuttosto piano: le ragazze non sono molto preparate fisicamente e quindi fanno una certa fatica. Francesco invece ha qualche problema ai piedi: mi racconta che nella prima parte del cammino ha avuto grossi problemi di vesciche. Mi fa vedere le foto dei piedi. Vedo tanto sangue: anziché bucarsi le vesciche, si è strappato la pelle facendo parecchi danni. Nonostante questo ha stretto i denti ed è andato avanti. Li precedo di qualche metro ed arrivo a Rabanal del camino. Al bar del paese trovo Monica già arrivata da un po’ che si sta mangiando un panino. È indecisa se proseguire. Sono ancora le 11,30 e l’ostello apre alle 14. io avevo programmato di fermarmi qui perché il descrittivo di Flavio Vandoni che ho con me consiglia di fermarsi in questo albergue. Però anch’io penso che sia ancora presto per fermarsi ed ha poco senso stare tutto il giorno in questo piccolo paese non essendo neanche particolarmente stanco. Decidiamo di proseguire per Foncebadon. Vediamo passare Maria e la sua mamma: anche loro vanno a Foncebadon. Francesco invece si ferma qui: vuole riposarsi e poi dice che vuole far benedire la pietra che ha portato da casa e che poi domani lascerà alla Cruz de Hierro. Qui la chiesa di Rabanal, infatti, organizza ogni girono una cerimonia a questo scopo. Così mangio qualcosa al bar e partiamo con Monica. Non avevamo mai camminato insieme finora: avendo orari diversi c’eravamo sempre incontrati negli albergue. Si stupisce del mio bastone da pellegrino: è di quelli belli alti e ricurvi nella parte superiore (simile a quello di un pastore o di un vescovo). Chiacchierando molto la salita passa presto e in un’oretta siamo a Foncebadon, bel paesino in mezzo alle montagne. È molto rustico ma anche molto suggestivo: la via principale, Calle Real, non è neanche asfaltata. Arriviamo al rifugio parrocchiale. È ancora chiuso ma c’è una bella fila per entrare. I posti letto verranno occupati dai primi della fila. Io mi dovrò accontentare del materassino a terra. Non ho problemi in questo senso. Monica invece desidera un letto e perciò va all’albergue privato Cruz de Hierro che ha da poco aperto i battenti. Nella fila saluto Maria e la mamma: loro, che vanno come treni, sono riuscite ad arrivare in tempo per avere un letto. Alle 13,30 l’ostello apre. Ci accolgono Alfonso e Pilar, i due hospitaleri volontari e ci spiegano il funzionamento dell’albergue. Noi che dormiamo a terra, veniamo alloggiati in una stanza adiacente alla cappella. Sono l’unico italiano dell’albergue. Vado a farmi la doccia e per fortuna sono tra i primi: c’è un’unica doccia e non c’è la luce (si vede solo grazie alla luce del WC vicino). L’acqua calda va e viene. Bisogna adattarsi. Tutto quello che ci viene offerto, è cosa gradita. Vado a comprarmi un panino e una birra alla piccola tienda del paese (che avendo il monopolio se ne approfitta e alza i prezzi). Mangio con Maria e mamma Meli. Dopo pranzo vado a fare un riposino in albergue ma non riesco a riposare perché i miei compagni di stanza discutono animatamente. Vengono richiamati per due volte dagli hospitaleri: in un albergue devono essere rispettati la tranquillità e il riposo. Al secondo richiamo Pilar dice che se continueranno sarà costretta a fargli lasciare l’alloggio. La minaccia ha il suo effetto perché i ragazzi se ne vanno fuori a ridere e scherzare. Dopo un breve riposo esco anch’io e mi siedo fuori a godermi il sole. Arrivano Paula e Ettore, il ragazzo toscano. Dico loro che l’albergue è pieno. Paula va all’albergue privato mentre Ettore rimane. Decide di dormire fuori nonostante qui sia alto e non faccia molto caldo. Dice che non è la prima volta che lo fa: si mette tutti i vestiti che ha e poi si rinchiude nel sacco a pelo. Pellegrino duro e puro! Si fa ora di cena e vedo che in cucina Pilar con l’aiuto di alcuni pellegrini sta preparando in un gran pentolone una bella zuppa e in sala da pranzo Alfonso apparecchia. Ci mettiamo a tavola. Prima di cena Pilar fa un bel discorso sul significato dell’accoglienza. Dopo una preghiera mangiamo. La zuppa non so cosa contenga però è proprio buona. Così come l’insalata mista che c’è per secondo. Per dolce, com’è uso qui, uno yogurt. Dopo cena si tiene in cappella un momento di riflessione. I pellegrini si siedono tra i banchi e si passano una candela. Quando ha in mano una candela, ognuno dice quel che vuole. Sull’esperienza del cammino, sul perché è qui, se vuole pregare per qualcuno. È molto toccante. Molti si commuovono. Dopo la preghiera Pilar porta i pellegrini a visitare le rovine dell’antico albergue dei pellegrini di Foncebadon. Io mi attardo che sono già andati. Alfonso m’indica la strada ma non la trovo perciò me ne ritorno verso l’albergue. Dopo una breve chiacchierata con Ettore che prosegue nel suo intento di dormire all’addiaccio vado a dormire.

(continua)
 
29 luglio 2011 Foncebadon – Ponferrada (27 km)
Stanotte ho avuto un po’ freddo: sarà l’altitudine, sarà che ho dormito a terra ma il sacco lenzuolo non bastava. Fa niente. Mi sveglio che Alfonso e Pilar già stanno preparando la colazione per noi pellegrini: latte caffè pane e marmellata. Tutti quanti facciamo colazione insieme. Al termine mi offro volontario per lavare le tazze di tutti. È il minimo vista l’ottima ospitalità di quest’albergue. al momento di andare Alfonso e Pilar abbracciano ogni singolo pellegrino che parte pronunciando parole d’incitamento. Arrivato il mio turno, non posso far altro che ringraziare per la splendida accoglienza e Pilar mi risponde con queste parole: “È stato un onore averti qui”. Queste parole mi colpiscono molto e non posso che esserne gratificato. È proprio vero quel che diceva Vincenzo: gli albergue a donativo sono i più belli di tutto il cammino. Magari non avranno tutte le comodità possibili, ma vuoi mettere con il calore umano? Riparto con Maria e mamma Meli. Siamo diretti alla Cruz de Hierro, punto più elevato del cammino e luogo simbolo per i pellegrini. Ci arriviamo quando il sole è ancora basso e le prime luci dell’alba danno a questo luogo un aspetto ancora più particolare. È un semplice palo di legno con sopra una piccola croce ma si respira un’aria particolare. Lascio una pietra che ho raccolto lungo il cammino. Non ho potuto portarla da casa: dubito che in aereo me l’avrebbero lasciata passare. E me ne dispiace. Incontro Paula che sosta lì davanti già da un po’. Mi fermo a parlare con lei e condividiamo qualche biscotto. Riparto per la discesa e mi volto a guardare la Croce un’ultima volta. In controluce è ancora più spettacolare. Fotografo una pellegrina che prega sotto la croce. Proseguo verso Manjarin. Arrivo al famoso cartello che indica le distanze kilometriche da molte città d’Europa e del mondo. Voglio entrare a visitare il famoso rifugio gestito da chi si ritiene essere l’ultimo dei templari (almeno così mi dicono) ma un cane molto contrariato non fa altro che ringhiarmi contro. Non mi hanno parlato molto bene di questo rifugio e del suo gestore. Sono spinto più che altro da curiosità. Ma visto che già il cane non gradisce la mia presenza, decido di proseguire. Più avanti re-incontro Maria e sua madre che invece ci sono state. Mi raccontano di una specie di cerimonia con la spada. Insieme proseguiamo per la discesa a picco verso El Acebo. La ripida discesa è piena di sassi. Con i sandali che porto devo fare un po’ di attenzione. Arriviamo a El Acebo. Entro nella tienda del paese per un panino: è piuttosto cara (come quella di Foncebadon) e inoltre ha un giardino (per carità ben tenuto) ma recintato e con un cartello “riservato ai clienti della tienda”. Alla faccia dello spirito del cammino. Infatti, è vuoto. Tutti stanno al bar di fronte. Piuttosto che stare da solo quindi mi unisco agli altri. Ritrovo Francesco che, partito prestissimo da Rabanal, è qui già da un’ora che si riposa. Proseguiamo insieme per Molinaseca, dove arriviamo in un paio di ore. All’entrata del paese c’è un ponte che passa sopra un fiume. Qualcuno fa il bagno. Io ho fame e quindi vado a comprarmi un panino alla tienda del paese (stavolta a prezzi onesti). Compro anche un’ottima empanada, una torta rustica tipica galiziana ripiena di carne o tonno. Francesco intende fermarsi qui perciò va alla ricerca dell’albergue. Io invece vado a mangiare sul prato lungo il fiume. Mi godo la sosta sul prato in riva al fiume e poi proseguo il cammino. Mentre sto per uscire da Molinaseca incontro un signore del posto con la polo della Roma: gli dico che io sono di Roma e della Roma. parliamo del nuovo allenatore della Roma, lo spagnolo Luis Enrique, ed entrambi abbiamo qualche perplessità. salutato il signore proseguo il cammino per Ponferrada. Mancano otto km ma sotto il sole sono parecchio pesanti. Sono inoltre per la maggior parte tutti su asfalto. Il mega-ostello di Ponferrada è alla periferia della città. È l’albergue dei 200 km a Santiago. Molti cominciano da qui. E si vede. E si sente. Non incontro nessuno di mia conoscenza. Solo facce nuove. Dopo essermi sistemato e riposato vado a far spesa al supermercato per cucinarmi la cena. Mi compro mezzo chilo di spaghetti. Torno in albergue e in cucina incontro Monica che sta cucinando una minestra con una ragazza polacca Dorothy, che ha conosciuto ieri a Foncebadon e con cui ha camminato oggi. È contenta di vedermi perché dopo aver parlato inglese tutto il giorno con questa ragazza ha voglia di parlare di nuovo italiano. Mi offrono un po’ della loro minestra e della loro carne. Accetto di buon grado. Per cucinare gli spaghetti avrei dovuto fare la fila per cucinare. La cucina è strapiena. Dopo cena incontro Paula, arrivata con calma nel tardo pomeriggio. Insieme decidiamo di andare a visitare un po’ la città che ancora non abbiamo avuto modo di vedere. Pur essendo le nove di sera, non c’è molta gente in giro. Anche lei che è spagnola si stupisce del poco movimento. Andiamo al castello dei Templari e ci sediamo su un muretto a goderci il tramonto dietro le montagne. Lo vediamo chiaramente il sole che cade dietro le montagne. Ci voleva per chiudere in bellezza questa giornata.

(continua)
 
30 luglio 2011 Ponferrada – Trabadelo (34 km)
Mai più maxi-ostelli. Mi rendo conto che da ora il cammino sarà diverso perché invaso dai cosiddetti “turigrinos” (turisti pellegrini). La loro presenza si è rivelata con tutta la loro irruenza alle 11 di ieri sera quando due giovani esemplari di turigrinos sono rientrati nella mia stanza accendendo la luce mentre tutti noi ci accingevamo a dormire. Le nostre proteste li hanno costretti a spegnerla ma non è servito a molto: avevano delle torce potentissime. Finito con le torce, si sono messi a letto ma si hanno iniziato a chiacchierare. In seguito alle proteste degli altri pellegrini hanno smesso per qualche secondo per poi riprendere. Poi è stata la volta dell’iPhone con cui si sono messi a giocare. Poi non lo so perché per fortuna la stanchezza mi ha fatto addormentare salvo poi risvegliarmi all’una con costoro che ancora chiacchieravano! Il caldo ha fatto il resto. Nottataccia! Di buon mattino perciò scendo a fare colazione. Mi accoglie in sala da pranzo un “profumino” di verdure bollite. Un gruppo di coreani sta cucinandosi la colazione. Sul fuoco vedo dei brodini verdi. Mamma mia! Io faccio una colazione (italiana) con Maria e Mamma Meli. Latte cacao e biscotti con la marmellata. Per sdebitarsi di ieri che ho lavato le tazze e tutti, Maria si offre per lavare la mia. È un gesto molto carino. Intanto noto che i coreani se ne sono andati ma hanno lasciato una pila infinita di tazze e pentole da lavare che intasano il lavandino. Ora capisco perché sul descrittivo del cammino di Flavio, scaricato da internet, c’è scritto: “Buon lavoro hospitaleri”… parto per il cammino e mi dirigo in solitudine verso Camponaraya, dove arrivo dopo un paio d’ore. Mi fermo su una panchina a riposare che mi raggiunge Francesco che è partito presto da Molinaseca. Da lontano mi richiama rivolgendomi in modo scherzoso un bel “Mortacci tua!” (ovviamente lo usa in modo goliardico senza alcun intento offensivo) che io ricambio. Dice che a Molinaseca si è trovato bene: albergue tranquillo (a differenza del mio). Ma mi dice che non ha ceduto alla spiaggia fluviale: lui il bagno al fiume non se lo vuole fare. Lui vive al mare e ama solo il bagno al mare. A me invece un po’ è dispiaciuto non approfittare ieri del fiume di Molinaseca. Vedo però sul descrittivo di Flavio che a Villafranca del Bierzo c’è la spiaggia fluviale. Mi sa che oggi ne approfitterò. Proseguiamo insieme per Cacabelos. Tutto il cammino non facciamo altro che scherzare sul nome curioso di “Cacabelos”. “ma si può chiamare un paese Cacabelos?”. Scherziamo anche su un maxi-cartellone pubblicitario che pubblicizza un albergo della cittadina. “prezzi speciali per pellegrini: 50 euro una stanza”. Francesco con la mia approvazione non può far altro che apostrofare questi albergatori con un’espressione colorita. E meno male che sono speciali questi prezzi! Con 50 euro un pellegrino ci dorme per tutto il cammino! prima di Cacabelos c’è una bella area de descanso sotto gli alberi con un bel prato. Ci fermiamo per riposare i piedi. Camminare a piedi nudi nell’erba non ha prezzo. Arriviamo a Cacabelos accolti dalla banda del paese che sta facendo le prove. Scherzando diciamo che le suonano per il nostro arrivo! Ci fermiamo a un forno e compriamo il pane e un dolcetto (torta dolce al formaggio e cioccolato). Ci fermiamo al parco per pranzare. Dopo pranzo Francesco si ferma qui mentre io proseguo. Vado verso Villafranca del Bierzo. Il sole picchia forte ed arrivo a Villafranca accaldato e piuttosto stanco verso le due. L’albergue è all’inizio del paese ma non ho voglia di andarci: molti di quelli che ieri erano a Ponferrada fanno tappa qui ed io un’altra esperienza come quella di ieri non la voglio fare. Voglio un po’ di tranquillità. Scendo perciò giù in paese alla ricerca della spiaggia fluviale per riposarmi. Dopo vari giri la trovo (è fuori dal cammino). Ritrovo un gruppo di ragazzi tedeschi che hanno dormito nel mio stesso albergue a Foncebadon che arrivati già da tempo stanno prendendo il sole sul prato in riva al fiume. Accaldato come sono, non resisto e faccio un tuffo. L’acqua è abbastanza fredda ma dopo una camminata sotto il sole è quello che ci vuole. Dopo il bagno mi godo un secondo pranzo: panino coca cola e la torta al formaggio e cioccolato (davvero buona). Mi sento davvero meglio. Verso le 16 riparto per riprendere il cammino. Dormirò a Trabadelo (altri 12 km) dove ha aperto un nuovo albergue municipal. Esco da Villafranca e mi ritrovo lungo una strada asfaltata deserta in mezzo alle verdi montagne. Il vento soffia forte e mi sento proprio bene. Non so perché ma è una dei momenti più belli di tutto il cammino: io da solo in mezzo alle montagne. Urlo dalla gioia e ascolto l’eco che ritorna indietro. Scendendo più sotto si costeggia una strada più trafficata e incontro altri pellegrini. In particolare tre belle e simpatiche ragazze spagnole: Ana, Andrea e Libertad. Ad Andrea non posso non fare la battuta che in Italia è un nome da uomo. A Libertad faccio i complimenti per il bel nome. Chiacchieriamo allegramente e finiamo a parlare di cucina: nel mio zaino ho gli spaghetti che ieri ho comprato a Ponferrada e che non ho potuto cucinare. Mi dicono che potrei farci una carbonara. Mi chiedo cosa ne possono sapere delle spagnole della carbonara. Per curiosità chiedo che ci mettono loro nella carbonara. Loro mi rispondono: uova, bacon e… panna! Sono abbastanza disgustato e dico loro che la panna non ci va nella carbonara. Arriviamo a Pereje e ci lasciamo: loro si vogliono riposare. Io invece proseguo per Trabadelo. Mi sento bene e voglio fare qualche chilometro in più. Domani la salita del Cebreiro sarà dura. Arrivo a Trabadelo. È un paesino minuscolo con poca gente. Arrivo all’albergue ed entro. Trovo due pellegrine catalane sempre conosciute a Foncebadon che stanno mangiando. Chiedo dell’hospitalero e mi dicono che lo troverò al bar che si trova in basso in fondo alle scale esterne all’albergue. Entro nel bar e scopro che l’hospitalera è allo stesso tempo anche la barista del bar. Mi assegna il letto dicendomi il numero della stanza. Chiedo se ci siano altri italiani: mi risponde di sì. Rientro perciò nell’albergue e salgo nella mia stanza. Quest’albergue è composto da varie stanze ognuna con due letti a castello. Sembra ci sia poca gente. Ma non vedo nessuna faccia conosciuta. Dopo essermi sistemato e fatto la doccia nel comodo, nuovo e ampio bagno scendo giù in cucina per cucinarmi i miei spaghetti. Proprio nel momento in cui entro, alcuni pellegrini si stanno alzando perché hanno finito di cenare. Sono un gruppo di italiani di Lucca. Gli è avanzato un piatto di zuppa. Mi chiedono se lo voglio. Non posso che accettare. È avanzato anche del vino e mi offrono anche quello. Ma cosa c’è di più bello che entrare in una cucina e trovare persone che ti offrono da mangiare? Gli spaghetti sono rimandati anche oggi. Una signora del gruppo si ferma a farmi compagnia mentre altri escono. Ci raccontiamo il nostro cammino. Loro sono partiti in gruppo da Saint Jean e piano piano stanno facendo il cammino. Lei e il marito sono anche hospitaleri volontari. Mi racconta di aver fatto accoglienza a Granon. mi chiede informazioni su Foncebadon che è gestito dalla stessa loro associazione. Dopo cena andiamo sul terrazzo in basso a vedere il tramonto. Un Canadair passa spesso sulle nostre teste: dev’esserci un incendio da queste parti. Mentre il sole cade rosso dietro le montagne, penso alla giornata di oggi: sono proprio felice.

(continua)
 
31 luglio 2011 Trabadelo – O Cebreiro (18 km)
Ho dormito proprio bene stanotte. Non ho sentito minimamente i miei compagni di stanza che quando sono andato a dormire non erano ancora rientrati. Ora che mi sono svegliato ancora dormono. Esco Scendo giù in cucina e fare colazione con i biscotti “Principe” sono una costante del cammino. In cucina faccio la conoscenza di Antonio, un ragazzo spagnolo che però conosce un po’ l’italiano perché ha fatto l’Erasmus a Catania. Mi racconta un po’ di quanto gli è piaciuta la Sicilia. Saluto Antonio e riparto. Il cammino costeggia la strada statale che passa attraverso la valle. Arrivo ad Ambasmestas e mi fermo in un parco giochi a riposarmi al sole. Poco dopo vedo sopraggiungere Monica con Dorota, la ragazza polacca che sta camminando da qualche giorno con lei. Sono contento di ritrovarla: lei ha dormito a Pereje, il paese prima di Trabadelo. Proseguiamo il cammino insieme. A Vega de Valcarce veniamo attirati dal profumo del pane appena sfornato. Nonostante sia domenica, c’è una panetteria-pasticceria-bar aperta. Non possiamo non fermarci. Io mi concedo una torta con crema e panna spettacolare e un cappuccino. Dopo la pausa ristoratrice ci incamminiamo per la salita verso O Cebreiro. Si sale circondati dal verde. Più sopra grandi pietre rendono più faticosa la salita. Arriviamo a La Faba un po’ stanchi e accaldati. Ma mettere la testa sotto la fontana mi rimette al mondo. Dopo una pausa riprendiamo la salita per O Cebreiro. Mentre saliamo, ci mettiamo a cantare. Sarà la stanchezza sarà la voglia di arrivare in cima ma finiamo per cantare Bamboleo dei Gipsy King ma anziché “bamboleo” diciamo “O Cebreiro”. Finalmente arriviamo in cima verso le 12,30. il paese è pieno: tanta gente sta uscendo dalla messa. Il villaggio è molto particolare. Si respira proprio quella bella aria di domenica di festa nel villaggio. Davanti all’albergue c’è già la fila degli zaini in attesa dell’apertura. Abbiamo una cinquantina di zaini ma dovremo entrare. Potrei continuare visto che ho fatto solo 18 km ma oggi è domenica, il villaggio è stupendo e mi voglio godere il giorno di festa. Quando apre l’albergue, mi sistemo. In poco tempo l’albergue si riempie. Tanta gente resta fuori. E qui in paese non si sono altri albergue. Vado in cucina per prepararmi un panino ma noto che è vuota: non c’è niente di niente. Niente posate, niente padella niente pentole. Dopo leggo sul descrittivo del cammino che in Galizia spesso le cucine sono vuote. Sarà un problema cucinare negli albergue. per fortuna che ora non devo cuocere nulla. Dopo mangiato esco a fare un giro e davanti alla chiesa incontro Paula. Anche lei ha dormito a Pereje e ora si riposa un po’ per poi proseguire. Mi chiede dopo prosegue il cammino. Io le dico: passa proprio davanti all’albergue e precisamente passa in mezzo allo stendi panni! La accompagno fino all’uscita del paese e poi ci salutiamo. Le lascio il mio indirizzo casomai non dovessimo più re-incontrarci. Ritorno in paese e trovo Maria e mamma Meli ad un tavolo di un bar che hanno finito di pranzare. M’invitano a sedere con loro e a bere un liquore alle erbe. Al tavolo con loro ci sono due nuovi pellegrini castigliani: Erika e Carlos. Sono molto cordiali con me. E Meli oggi è particolarmente allegra: ed è contagiosa. Alle 19 vado alla messa serale con Monica e Dorota e poi andiamo al ristorante. Mi concedo un menu del dia. ordino incautamente della pasta (da dimenticare) ma mi rifaccio col secondo: dietro consiglio di Meli, mi mangio delle ottime costolette di maiale. Per dessert il riso col latte: sarà per la cannella spolverata sopra ma questo (per me) insolito dolce mi piace parecchio. Per domani siamo tutti d’accordo di andare a Samos deviando dal cammino principale. Quel monastero ci incuriosisce molto...

(continua)
 
1° agosto 2011 O Cebreiro – Samos (31 km)
Il risveglio della camerata sveglia anche me. C’è gente che già alle 4,30 si alza per partire… alle 5,30 la maggior parte delle persone è già in piedi. visto che ormai sono sveglio, mi alzo anch’io. Alle sei esco e… è ancora buio pesto! Ma dove vanno se non ci si vede niente? Io vado in paese verso il bar. Il giorno prima avevo letto un cartello che diceva che apriva alle 6. un capannello di persone è lì davanti che aspetta l’apertura. I primi della fila sono Monica e Dorota. Alle 6,15 si presenta la barista che da sola apre il locale. Per fortuna mi aggrego a Monica e Dorota che sono le prime. Ma dietro di noi la confusione regna sovrana. Come fa una barista da sola peraltro arrabbiata nera per l’alzataccia a fare il caffè a decine di persone? Facciamo colazione con calma aspettando che faccia un po’ di luce e poi partiamo. Ormai siamo in Galizia: siamo in mezzo a verdi montagne e in fondo l’orizzonte è coperto dalla nebbia. Mentre camminiamo, cantiamo. Dorota ci insegna una canzone polacca che si canta quando si cammina. La canzone è un ringraziamento a Dio per tutte le cose che ci circondano e ci capitano. Io e Monica invece cantiamo canzoni meno serie. Proseguiamo con il nostro intento di storpiare le canzoni spagnole sostituendo le parole con le località del Cammino. Oggi tocca a “Vamos a la playa” che, vista la destinazione odierna, diventa “Samos a la playa”. Passiamo per l’alto di San Roque, dove c’è la statua del pellegrino del vento. Su internet avevo sempre visto questa statua avvolta dalla nebbia. Oggi invece di nebbia non ce n’è proprio. Proseguendo il cammino sale per una salita ripida che porta all’alto do Poio. Qui troviamo un bel bar con i tavolini fuori. Ci concediamo la seconda colazione. Stavolta tostada e spremuta d’arancia. Ottima. Poi, gustata al sole del primo mattino, è ancora meglio. Al bar ritrovo Ettore che si sta scaldando pure lui al sole. Ha continuato nel suo intento di dormire fuori. Stanotte ha dormito qui a quest’altezza. Gli ha fatto compagnia Leon, un ragazzo tedesco che avevo visto ieri a O Cebreiro e che era rimasto senza posto letto. Ettore dice che non ha sofferto troppo il freddo. Ormai c’è abituato. Mi fermo a chiacchierare con lui mentre Monica e Dorota proseguono. Poco dopo ci incamminiamo anche noi. La discesa è abbastanza ripida ma chiacchierando passa presto. Ettore è preoccupato per il clima galiziano: la nebbia di notte lo spaventa molto. Lo tranquillizzo dicendo che se la caverà come ha sempre fatto finora. Ogni tanto dobbiamo fare attenzione ai ciclisti che si buttano a capofitto nella discesa rischiando la nostra e la loro incolumità. Arriviamo a Triacastela, dove fuori dall’albergue c’è già una gran fila per prendere il posto. Non abbiamo alcuna intenzione di fermarci qui. Io andrò a Samos, mentre Ettore va a Sarria. Andiamo al supermercato per acquistare i panini per pranzo e poi andiamo alla ricerca di un parco per mangiare. Non lo troviamo. Troviamo solo una panchina ma va bene lo stesso. Dopo mangiato le nostre strade si dividono. Lui va a Sarria io prendo la deviazione per Samos. Il cammino per Samos prima percorre i margini di una strada asfaltata e poi devia nei boschi. Percorro il tratto velocemente ed in breve raggiungo Monica e Dorota che erano andate più avanti. Siamo tutti stanchi e non vediamo l’ora di arrivare. Finalmente tra gli alberi ci appare il monastero. È imponente. Sono le tre e proprio ora sta aprendo l’albergue che si trova nella struttura del monastero ma separato dal resto del convento. Peccato. Speravo di dormire nelle celle come i frati. L’albergue non è il massimo, ma è a donativo e tutto ciò che viene offerto a noi pellegrini è da me ben accetto. Dopo esserci sistemati, andiamo al bar e prendere qualcosa da bere e poi alle sei andiamo a visitare il monastero. Le visite sono a orari fissi e obbligatoriamente guidate. Entriamo con un gruppo di turigrinos incalliti. Sono stati scaricati da un pullman, indossano tutti la stessa maglietta con scritto “Cammino di Santiago”, scattano foto a migliaia e soprattutto fanno un baccano allucinante. Siamo allibiti e scioccati: non eravamo pronti ad affrontarli. Inoltre l’interno del monastero non è bello come l’esterno. Le pareti sono affrescate con dipinti moderni che non incontrano il nostro favore. La chiesa è bella ma la confusione di questi turigrinos ci disturba. Per fortuna tra mezz’ora (quando loro se ne saranno andati) ci saranno i vespri e la messa in gregoriano, cantata dai frati. Più tardi, infatti, torniamo in chiesa quasi tutti i pellegrini dell’albergue e il clima è tornato tranquillo. I vespri e il canto dei frati ci riconciliano con questo posto. Dopo la messa siamo ancora tutti emozionati. Usciti dalla chiesa, io e Monica andiamo a mangiare al ristorante, mentre Dorota s’intrattiene con un pellegrino brasiliano - polacco con cui può finalmente parlare la sua lingua. Ci mangiamo un bel menù del dia e torniamo in albergue che sta iniziando a piovere. Speriamo che domani smetta…

(continua)
 
2 agosto 2011 Samos – Portomarin (40 km)
Ci svegliamo con calma. Fuori il cielo è nuvoloso e minaccia pioggia. Prima di partire vado a fare colazione a uno dei bar davanti all’albergue con Monica e Dorota. Ordiniamo il solito caffè con leche. Dopo il caffè io e Monica ci concediamo pure pane tostato con la marmellata mentre Dorota mangia pane con spalmato sopra del paté di erbe che conserva nello zaino. È proprio vero che tutto il mondo è paese… Proprio mentre usciamo dal bar, sta iniziando a piovere. Indossiamo quindi le nostre mantelle. Il barista ci aiuta a infilarle. Indica i miei sandali chiedendomi come farò a camminarci con la pioggia. In qualche modo farò anche perché solo ho questi. Anche volendo, non ho alternativa! Partiamo che l’orologio del monastero segna le 8. mai me la sono presa così comoda. Pur non avendo mai messo la sveglia, i rumori della camerata mi hanno sempre svegliato prima. Stavolta invece tutti i pellegrini hanno dormito a lungo senza l’ansia di svegliarsi presto per arrivare al posto letto. Proseguiamo lungo la strada asfaltata sotto una pioggerellina finissima che prima d’ora non aveva mai provato. Non si vede ma ti bagna. Dev’essere tipica di questa zona. Il sentiero poi prosegue nel bosco. Incontriamo Rory, ragazzo australiano già incontrato più volte lungo il cammino. Chiacchieriamo un po’ ma il suo inglese con l’accento australiano è per me un problema: non lo capisco e ogni volta mi devo far ripetere le cose perché parla molto stretto! Per fortuna c’è Dorota che parla bene inglese. Dopo un paio d’ore di cammino tra boschi e prati arriviamo a Sarria che ha smesso di piovere. Ci fermiamo al primo bar all’entrata della città per un panino. Mentre stiamo mangiando, sopraggiungono Maria e Meli. Siamo tutti felici di rivederci. Loro ieri si sono fermate a Triacastela e oggi si fermano a Sarria, ospiti della sorella di Meli che abita qui. Ormai loro sono quasi a casa. Riprendiamo la strada insieme e ci sentiamo chiamare da dietro. È Francesco! Il pellegrino pugliese che avevo lasciato a Cacabelos. Pensavo di averlo perso invece eccolo qui. Mi mancava la sua simpatia. Ci raccontiamo un po’ i nostri cammini mentre saliamo verso il centro della città. Meli si raccomanda d’ora in poi di fare due timbri ogni giorno sulla credenziale per sicurezza per evitare problemi quando andremo a chiedere la Compostela. Trovo un po’ curioso che dopo tutti questi chilometri si mettano a fare problemi per gli ultimi chilometri però ho ancora spazio sulla credenziale quindi non mi costa fare un timbro in più ogni giorno. Arriviamo davanti l’albergue municipale che c’è già una bella fila. Francesco, che si ferma qui, lascia lo zaino in fila sperando di poter entrare visti i pochi posti a disposizione in questo albergue municipale. Poi andiamo al bar per berci una Coca cola con Meli e Maria, mentre Monica e Dorota proseguono. Io mi voglio godere questa bella compagnia e proseguire poi con calma. Verso mezzogiorno saluto tutti. Passo nella chiesa del paese per timbrare la credenziale e poi riprendo il cammino che, uscito da Sarria, passa attraverso i boschi e i prati tipici della Galizia. Cammino di buon passo e ben presto raggiungo Monica. Ha dei dolori alle gambe e quindi cammino più piano del solito. Dorota invece che sta bene è più avanti. Monica dice anche a me di andare avanti senza badare a lei: piano piano arriverà. Proseguo da solo e poco dopo lungo il cammino vedo una chioma bionda a me familiare che è ferma a fotografare un albero. È Paula! Che gioia rivederla. Ci abbracciamo. Mi presenta la sua nuova amica che è con lei, Georgina. Mi racconta che non è passata per Samos ma per il cammino principale e che, nel paese dove si è fermata, ha trovato una gran festa cui ha partecipato. È curioso: io ho fatto tappa al monastero di Samos mentre quelli che sono passati per il cammino principale hanno fatto fiesta. Sacro e profano. Mentre chiacchiero con Paula e Geo, passa Monica: mi dà appuntamento a Ferreiros, dove spera di trovare posto. Io, dopo una breve sosta, proseguo con Paula e Georgina. Georgina ama cantare e mi fa sentire una delle sue canzoni. Poi mi chiede di cantare una canzone italiana: Con te partirò di Bocelli. Dico che non credo di essere in grado. Al massimo le posso cantare uno stornello romano. Così le canto “la società dei magnaccioni”. Loro ridono parecchio, anche se non credo abbiano capito molto il significato. Tra un canto e l’altro arriviamo a Ferreiros. Vado all’albergue municipale ma è completo. Chiedo se ci sia un’italiana, ma l’hospitalera mi dice di no. Dove sarà Monica? Torno al bar ristorante del minuscolo paesino, dove Paula e Geo mi stanno aspettando. Ci fermiamo a riposare cercando di meditare sul da farsi. Sopraggiungono anche Rory e una ragazza tedesca anche loro senza posto. Mentre siamo seduti, chiedo a un vecchietto del posto se ci sia un altro albergue in paese. Mi dice di no e che il più vicino è a Mercadoiro. Paula e Geo decidono di arrivare a Portomarin. Io sono un po’ indeciso sul da farsi. Arrivare a Portomarin significherebbe per me raggiungere quota 40 km. D’altronde però non ho molta scelta se qui non c’è posto. Dopo una lunga pausa riprendo il cammino con Paula e Geo. Per dimenticare la stanchezza continuiamo a cantare. Stavolta improvvisiamo un duetto “Vivo per lei” di Bocelli e Giorgia (pare che all’estero Bocelli sia uno dei pochi cantanti italiani noti). Arriviamo all’albergue di Mercadoiro. C’è un albergue privato con un bel giardino molto curato. ma all’entrata un megacartellone pubblicitario indica tutti i confort dell’albergue: televisore, idromassaggio ecc. Non sembra proprio un posto per pellegrini. Entrando poi in giardino non vedo nessuno di noto. Decidiamo di proseguire per Portomarin. Tanto ormai manca poco e lì sicuramente troveremo qualcosa di più adatto a noi. Mancano quattro km ma sono lunghissimi. Ci fermiamo spesso: anche davanti ad una fattoria, dove chiacchieriamo con un anziano agricoltore locale (sarebbe meglio dire che loro chiacchierano perché io non capisco una parola). Mentre siamo in vista di Portomarin, sono veramente alla frutta. Mi trascino e mi appoggio pesantemente al bastone. Alle 19 finalmente attraversiamo il ponte che conduce alla città e saliamo la ripida scala che accoglie i pellegrini in paese. Dopo 40 km è come si suol dire la mazzata finale. Attraversiamo il paese e arriviamo all’albergue. È pieno in ogni ordine di posti. Però l’hospitalera ci dice che possiamo dormire nella palestra per due euro. Dobbiamo lasciare il nostro nome e aspettare di essere chiamati quando sarà il nostro turno. Dopo un quarto d’ora un volontario ci accompagna in palestra. Dormiremo per terra sui materassini da palestra. L’importante è avere un tetto sopra la testa. Dopo la doccia Geo va a fare spesa al supermercato per tutti. Poi andiamo a mangiare quel che abbiamo comprato su una panchina del parco: ognuno condivide quel che ha. Pane, tonno, un piccolo peperone verde (ottimo che mettere nel panino), birra e dolcetto. Ben presto si fanno le 22 ed è ora di tornare in albergue. Vado a letto stanco ma felice. È stata una tappa lunga ma piena di incontri belli.

(continua)
 
eccoci io e Geo che camminiamo per i bei prati verdi della Galizia
 

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3 agosto 2011 Portomarin – Gonzar (8 km)
Dopo la giornata campale di ieri dormo come un ciocco tutta la notte. Alle otto è il gallo che mi sveglia: il suo canto risveglia tutti noi occupanti della palestra. È per me un evento bellissimo perché del tutto insolito dato che vivo in città. Mi preparo a partire con Paula e Geo ma la forma fisica non è delle migliori. Nonostante porti i sandali, ho una grossa vescica sull’alluce e una sul tallone. Mi faccio prestare un ago da Paula, visto che ne sono sprovvisto, ma non ha il filo. La vescica sull’alluce la riesco a bucare ma quella sul tallone… Non la trovo! Provo a puntare l’ago ma non c’è nulla da bucare! Però mi fa male come se avessi una vescica! Bucata almeno la vescica sull’alluce provo a camminare ma ho dei seri problemi. Cammino piano e male. Mentre penso un po’ al da farsi, fuori dalla palestra condivido la colazione con Paula e Geo. Io condivido i biscotti principe che ho sempre con me, Paula condivide lo yogurt da bere. Dopo la colazione proviamo a partire ma già dei primi metri vedo che sono troppo impacciato nel camminare. Dico a Paula e Geo di andare avanti: io andrò al centro medico per farmi vedere i piedi. Le saluto con un abbraccio: è bello camminare con loro ma cammino troppo piano e le rallenterei. Mi fermo perciò nella piazza di Portomarin su un muretto a godermi il primo sole del mattino in attesa che apra alle dieci il centro medico. Vedo passare molti pellegrini che non trovano dove si riprende il cammino. Indico loro dove andare ma molti sono incerti: da quella direzione sono arrivati! Noi ieri abbiamo preso direttamente la scalinata ma ho l’impressione che il cammino dentro Portomarin faccia un bel giro lungo solo per far visitare tutto il paese. Dopo un’oretta vedo passare Dorota e Rory. Hanno dormito a Ferreiros. Ma dove, visto che l’albergue era pieno? Mi dicono che in uscita dal paese c’era un bar che al piano di sopra ha un albergue a donativo! Non l’ho proprio visto. Anche Monica era con loro ma ora è indietro perché ha dei problemi nel camminare. Anche a loro indico il cammino e li saluto perché è ora di andare al centro medico. Mi visita quasi subito un dottore forse un po’ sbrigativo (non aveva neanche il camice) ma competente. Mi dice che sul tallone non ho una vescica (per questo non la trovavo) ma tengo “dureza”. Non ci si può far niente! Però mi fa una bella fasciatura con tanta ovatta sul tallone. Esco e provo a camminare. Va decisamente meglio. Tra una cosa e l’altra si sono fatte le undici... Lungo il viale principale di Portomarin incontro Alba e Marta, due ragazze catalane incontrate più volte lungo il cammino, e Pablo, che ritrovo dopo averlo incontrato all’uscita da Astorga, che fanno colazione al bar. Mi fermo a fare una seconda colazione con loro e poi riparto. Ora che so che è tutto tranquillo ai piedi sono più sereno. Cammino tranquillamente lungo il ponte in uscita dal paese e poi nel bosco. Lungo il cammino incontro una bella famiglia pellegrina: mamma papà e due bambini, uno sui dieci anni e uno di 4-5 anni. Anche il bimbo più piccolo ha il suo piccolo zainetto. Verso le 12,30 sono a Gonzar e vedo che c’è già una bella fila fuori dall’albergue per occupare il posto-letto. visto che non ho alcuna voglia di fare corse per prendere il posto letto, che sono un giorno in anticipo sul mio programma e che dopo la giornata campale di ieri è meglio oggi stare a riposo, decido di fermarmi qui. Alle 13 apre l’albergue. È piccolo, tutto nuovo e ben tenuto. Mi faccio la doccia più per abitudine che per bisogno. Non è che abbia sudato poi tanto oggi… nell’unica camerata dell’albergue ci sono Marta e Alba, un gruppo di ragazzi spagnoli (Aitor, Javier, Andres e Sofia) anche loro incontrati più volte lungo la via e, unici italiani oltre a me, una coppia di Monza, Carlo e Anna. A tutti chiedo se per caso hanno un carica-batterie per cellulare Samsung perché il mio non funziona più e mi si è scaricata la batteria del cellulare. Sono due giorni che non do mie notizie a casa e potrebbero preoccuparsi. Nessuno ha un modello compatibile con il mio. Ma almeno Anna mi può prestare il suo cellulare per inserire la mia sim e poter chiamare. Scendo in cucina e mangiare l’ottima empanada che ho comprato a Portomarin ed incontro due ragazze coreane, Su e *** (dell’altra non ricordo il nome). Con quelle poche parole in inglese che conosco, scambiamo quattro chiacchiere e mi invitano ad assaggiare la loro pasta. È senza pomodoro ma piccantissima! “Spicy!” Mi dice Su. E lo sento che è "spicy" senti come pizzica! Comunque nonostante la lingua riusciamo a ridere e scherzare. Esco a fare un giro per Gonzar ma tranne l’albergue municipal, l’albergue privato e il ristorante non c’è proprio nulla: case in rovina e una chiesetta chiusa. Non resta che riposarsi a letto e fare due chiacchiere con il gruppo di spagnoli. Sono tutti simpatici ma purtroppo la lingua è per me un grosso ostacolo: essendo tutti spagnoli parlano tutti velocemente e capisco poco e niente! Per fortuna ci sono Carlo e Anna con cui parlare tranquillamente. Mi invitano a condividere con loro la minestra in busta che si stanno preparando per cena. Non posso che accettare volentieri. L’alternativa sarebbe stata cucinarmi gli spaghetti, che ancora porto nello zaino da Ponferrada, conditi con nulla! Dopo cena ci sediamo fuori dall’albergue e vediamo arrivare una giovane ragazza italiana con uno zaino enorme sfinita dalla tappa odierna. Ci chiede se c’è posto. Le diciamo che è pieno ma che può andare all’albergue privato. Rimaniamo ancora un po’ poi verso le 21,30 ci prepariamo per andare a dormire (Gonzar non offre molti svaghi). Vado nel retro dell’albergue per ritirare i panni stesi ad asciugare ed incontro di nuovo la ragazza italiana di prima però in compagnia di tre amiche che si stanno lavando le cose. Sono tutte scout. Fanno parte di un gruppo più grande partito da Ponferrada ma che ogni tanto si divide in sottogruppi. Hanno piantato la tenda vicino al bar e ora si stanno lavando le cose. Dico loro se hanno voglia di darsi una lavata nel bagno dell’albergue: l’hospitalera non c’è (se n’è andata nel pomeriggio) e siamo quindi in autogestione. Ma loro non cedono alla tentazioni rimanendo vigili alle regole del loro gruppo scout: devono vivere in tenda e senza soldi (hanno solo una piccola cifra nei casi di emergenza)! Secondo le regole del loro gruppo dovrebbero vivere di quello che offre loro la gente lungo il cammino. Al massimo possono andare a comprare l’essenziale al supermercato, ma mai nei bar o ristoranti. Dicono che per stasera sono dovute andare al bar usando dei soldi messi da parte di nascosto. Racconto un po’ del mio cammino e si stupiscono di tutta la strada che ho fatto. Io rispondo che secondo me il loro cammino è più duro del mio: oltre alla durezza del cammino aggiungono tutte queste regole! Mi confessano che però qualche pezzo da Ponferrada a qui l’hanno fatto in bus. Ah ora si spiega il loro stupore sul mimo cammino… alle 22 le saluto. È ora di andare a dormire. Dopo questa giornata di riposo da domani si ricomincia a camminare veramente. Compostela è ormai vicina.

(continua)
 
4 agosto 2011 Gonzar – Melide (31 km)
Alle 5,30 la stanza inizia ad animarsi. Mi alzo anch’io che oggi ho voglia di ricominciare a camminare dopo la giornata di riposo di ieri. Verso le 6 sono già al piano di sotto a mangiare qualche biscotto. Carlo e Anna già partono nonostante il buio. Hanno le torce frontali. Mentre aspetto di partire m’incerotto i piedi. Alba mi regala un cerotto contro le vesciche che metto sull’alluce (dovrebbe aiutare la cicatrizzazione). Aspetto le 6,30 e poi decido di partire. Non mi era mai successo di partire che ancora non si è fatto giorno. Faccio molta attenzione ai bivi cercando le frecce. Ben presto però si fa giorno. Cammino in solitaria fino a Hospital de la Cruz. Dopo nei boschi raggiungo Su e l’altra ragazza coreana che son partire molto presto ma che hanno un passo molto lento. Mi chiedono dove arriverò oggi. Rispondo loro che voglio arrivare a Melide per gustare il famoso polpo di Esequie. Il loro viso alla parola “pulpo” si illumina. Nonostante che per la loro media 31 km siano tanti, anche loro decidono di provare ad arrivare a Melide, attirate dal pulpo. Le saluto e vado avanti. Arrivo a Ligonde e vedo in un giardino una grande tavolata di pellegrini a fare colazione. Dev’essere il rifugio gestito dagli evangelici americani. Mi distraggo a vedere quel gruppone di pellegrini e non guardo le frecce. Per fortuna sono loro a richiamarmi indicandomi il giusto cammino. Più avanti in un bar ritrovo tutto il gruppo di ragazzi spagnoli che ieri stavano con me a Gonzar. Faccio colazione con loro in questo bar nel cui giardino ci sono delle sculture in ferro che rappresentano delle formiche. Riparto con loro. Anche loro sono diretti a Melide. Verso metà mattina arriviamo a Palas De Rey. Ci fermiamo davanti alla chiesa in cima al paese per timbrare la credenziale. Entro in chiesa per il timbro ma vedo che è piena di gente chiassosa in fila per timbrare la credenziale. Disgustato da questa visione, esco senza timbro. Con gli altri ragazzi commento: ma siamo in una chiesa o in un mercato? E poi ti pare che per timbrare la credenziale devo fare una fila chilometrica? Per il timbro mi viene in mente di andare giù in paese alla casa do Concello. Senza fare alcuna fila un impiegato comunale mi timbra la credenziale. Colto dalla fame, acquisto un bel pezzo di empanada in un negozietto di alimentari in centro. Ottima! Mi fermo a mangiare su una panchina. Appena finito di mangiare passano Carlo e Anna che stanno uscendo dal paese. Ne approfitto per fare un breve tratto con loro. Scambiamo qualche parola ma vanno più piano di me e quindi dopo un po’ li saluto. Più avanti raggiungo le coreane che intanto mi avevano superato mentre facevo sosta a Palas de Rey. È una scena molto comica: Su è intenta in una salita ed è abbastanza affaticata ma per tirarsi su e tirare avanti ogni tanto dice “Pulpo! Pulpo!” come se stesse invocando la ricompensa che l’aspetterà a Melide. Più avanti ancora raggiungo i ragazzi spagnoli e insieme arriviamo a Casanova Mato dove io mi fermo per una pausa. Mi fa male la milza. Quei ragazzi corrono troppo! Hanno paura di non trovar posto all’albergue e quindi camminano molto velocemente. Qui a Casanova Mato c’è già la fila per accedere all’albergue. Io mi riposo un po’ e poi riparto per Melide. Gli ultimi chilometri sono duri: la meta sembra non arrivare mai ma finalmente vi arrivo stanco e affaticato. Nella piazza del paese chiedo dov’è l’albergue che è nuovo ma ben nascosto. Devo chiedere più volte informazioni. Le chiedo a un signore che esce da una banca, il quale per facilitarmi mi fa fare una scorciatoia: mi fa entrare in banca e uscire dalla porta sul retro per evitarmi un giro più lungo. Questa è bella… all’inizio non capivo e gli dicevo: “Ma guardi che io mica devo andare in banca! Io sono solo un povero pellegrino!”. All’albergue ritrovo tutti i ragazzi spagnoli che sono in fila per entrare. C’è posto anche per me. Mi assegnano un posto in uno stanzone. Nello stanzone trovo un gruppo italiano che viene da Vicenza che avevo già notato lungo il cammino nelle tappe precedenti: lei, sulla trentina vista per la prima volta nella bolgia di Ponferrada che si truccava in bagno lamentandosi di come fosse spartano il cammino, un ragazzo anche lui sulla trentina e un ragazzo di 15-16 anni dall’aria abbastanza strafottente e poco pellegrina e una bambina di 11 anni. Mi preparo per la doccia ma quando per farmi la doccia mi levo le calze ed il cerotto che questa mattina Alba mi ha regalato scopro un’immensa vescica proprio dove ho messo il cerotto. Mi ha fatto effetto contrario! Per fortuna ho dell’ago e del filo che una gentile pellegrina canadese mi ha regalato a Portomarin mentre aspettavo che aprisse il centro medico e del betadine trovato ieri all’albergue di Gonzar dimenticato da qualche pellegrino nell’albergue. Dopo la doccia mi metto perciò a bucare la vescica. Il filo è però molto lungo quindi chiedo al ragazzino di Vicenza che passa proprio in quel momento se mi possono prestare delle forbicine per tagliare il filo. Va a consultarsi con la ragazza più grande che sembra il capo del gruppo ma poi torna dicendo che non ne hanno. In realtà mi sembra molto strano che non ce l’abbiamo. Si vede chiaramente che sono un gruppo chiuso che non si fida degli altri pellegrini. Non avendo le forbici faccio passare tutto il filo nella vescica con qualche fatica. Sistemata in qualche modo la vescica vado in giro per l’albergue a chiedere se qualcuno ha un caricabatterie Samsung per cercare di ricaricare il cellulare che è scarico ormai da tempo ma senza risultati. Esco perciò a farmi un giro. L’umore non è dei migliori: pioviggina, mi fanno male la vescica sull’alluce, la “dureza” sul tallone e ho perso tutti gli amici più stretti sul cammino. Monica e Dorota non so dove siano finiti. Lo stesso vale per Francesco, Maria e mamma Meli che non vedo ormai da Sarria. Per non parlare di Vincenzo, lasciato a Leon! Chissà dove sarà finito a suonare la sua bella musica napoletana. In piazza incontro le coreane arrivate ora stremate. Indico loro dov’è Ezequiel dove io sto andando ora. Speriamo che la famosa cucina di questo locale mi tiri un po’ su! Entro nel ristorante e chi mi vedo a una tavolata? Maria e Mamma Meli con Carlos ed Elena, i due ragazzi spagnoli di O Cebreiro. Al tavolo con loro ci sono la sorella di Meli e suo marito. Mi dicono che anche Monica è a Melide ma in una pensione diversa dalla loro. Che gioia ritrovarli! Proprio ora che ero un po’ giù li ho ritrovato. Il Cammino e la Provvidenza ti fanno trovare sempre ciò di cui hai bisogno quando meno te l’aspetti. Mi unisco al loro tavolo dopo aver preso al bancone una porzione del famoso polpo di questo locale. Non ho un bicchiere per bere il vino. Carlos proprio come fece a O Cebreiro, dove mi aiutò a ordinare il liquore alle erbe, si alza per trovarmi un bicchiere. Dopo il polpo mangio un altro piatto tipico galiziano: la carne o caldeiro. Meli ne ha ordinata una porzione apposta per me. È uno stufato con delle patate. Ottimo. A fine pasto il cognato di Meli ci tiene a pagare il conto. Faccio un po’ di complimenti ma poi accetto l’offerta. È proprio gentile! All’uscita del locale timbriamo la credenziale: Meli dice scherzando che senza il timbro di Ezequiel non te la danno la Compostela. Dopo Ezequiel il cognato di Meli ci porta nella miglior pasticceria di Melide. Qui ci sediamo ai tavolini esterni per un caffè e ci portano dei dolci tipici della città alla pasta di mandorle che hanno però alla base un’ostia. Sono davvero buoni. Ma come si mangia bene a Melide! Ma io mi trasferisco qui! È bello stare con loro. Con Meli e Maria ridiamo fino alle lacrime e riusciamo a capirci benissimo nonostante loro parlino spagnolo galiziano ed io italiano. Verso le 19 la simpatica compagnia si divide. Io vado al supermercato a fare spese: mi compro una mega empanada in offerta e altre provviste per l’indomani e soprattutto dell’ovatta e dei cerotti per aiutarmi nella camminata ed attutire il dolore. Fatta la mia bella spesa torno in albergo che inizia a piovere sul serio.

(continua)
 
5 agosto 2011 Melide – O Pedrouzo (32 km)
Passo una notte di passione. La camerata è rumorosissima: i roncadores questa notte hanno eseguito la nona sinfonia di Beethoven. Delle ragazze spagnole anche loro sveglie hanno iniziato a ridere e chiacchierare come se niente fosse. Per cercare di dormire qualcosa metto l’iPod nelle orecchie con musica strumentale. Almeno ascolto qualcosa di piacevole… finalmente si fa mattina e mi alzo per incamminarmi. Mentre mi preparo, vedo il gruppo di Vicenza accanto a me che invece è impossibilito a partire. La più giovane del gruppo (13 anni) è completamente bloccata. Già ieri notato una notevole difficoltà nel camminare, ma stamattina non riesce proprio a fare neanche un passo senza il sostegno di due persone. Non possono proseguire e a causa di una tutti devono prendere l’autobus. Mi chiedono se voglio accollarmi il ragazzino della compagnia per fargli fare il cammino. Io non sono per niente entusiasta di portarmi appresso quel ragazzino che tra l'altro mi sta cordialmente antipatico. Non dico però di no lascio decidere a loro. Io parto poi se qualcuno viene con me faccia come vuole. Per fortuna è il ragazzino che non vuole lasciare il gruppo. scampato l’accollo, parto. Il cielo è grigio ma per fortuna ha smesso di piovere. Il cammino passa proprio davanti l’albergue. esco in solitaria da Melide. Per distrazione non vedo una freccia che devia dalla strada principale. Dietro di me due pellegrini padre e figlio, distratti anche loro, mi seguono. Per fortuna dopo pochi metri una signora dalla finestra mi richiama dicendomi che devo tornare indietro. Lungo la strada incontro una bella ragazza che è di Santiago… del Cile però. Cammino con lei per ripidi saliscendi fino a Ribadiso da Baixo dove io mi fermo per mangiare qualcosa. Mi godo un bel caffè con leche nel bar vuoto. Esco dal locale e faccio un bellissimo incontro: sopraggiungono mamma Meli, Maria, Carlos, Elena e Monica! È bello incontrarli di nuovo e fare la strada con loro. Monica poi non la vedo da quando ci siamo persi lungo il cammino tra Sarria e Portomarin e abbiamo tante cose da raccontarci. Mi dice che il giorno che ci siamo persi a Ferreiros lei aveva trovato grazie anche alle indicazioni di Dorota via cellulare l’albergue a donativo non segnalato. Nell’albergue ha trovato Rory, l’australiano, che le ha detto di avermi visto al bar-ristorante al centro di Ferreiros. È tornata indietro fin lì per cercarmi ma non mi ha trovato… mistero. Probabilmente ero appena partito con Paula e Geo e per un pelo non ci siamo incontrati. Chiedo a Monica se mi presta il cellulare per chiamare casa. Il mio sempre scarico senza possibilità di caricarlo. Non che mi manchi ma vorrei solo chiamare casa per dire che va tutto bene. Lungo la strada notiamo una scritta sopra un bidone della spazzatura: Turigrino! Arroja aqui tu credancial para ser un peregrino en un camino mas real! (turista-pellegrino getta qui la tua credenziale per vivere un cammino più reale) Ridiamo a crepapelle. È una bellissima frase che condividiamo in pieno. Peccato che il cestino sia vuoto segno che i molti turigrinos sulla via non hanno accolto l’invito. Con il sorriso sulle labbra raggiungiamo tutti insieme Arzua. Ci fermiamo a un bar sul viale in entrata per mangiare qualcosa. io ordino da bere ma mi mangio l’empanada acquistata ieri al supermercato di Melide. La condivido con gli altri. Anche Carlos mi conferma che è davvero buona. Dopo esserci ritemprati, ripartiamo. Monica ha prenotato un rifugio privato a Salceda mentre gli altri, non trovando posto a Salceda, l’hanno prenotato a Brea una località più avanti (tra l’altro Brea si chiama come la località dei cento chilometri da Santiago…). Non vogliono stare con l’ansia di non trovare posto e quindi preferiscono far così. Arrivati perciò a Salceda salutiamo Monica. Ci diamo appuntamento al Monte Do Gozo per domani per scendere poi tutti insieme. Dopo qualche chilometro saluto anche Maria, Meli, Elena e Carlos. Io invece proseguo per O Pedrouzo. Spero di trovare posto al municipale. Al massimo finirò in palestra. Mamma Meli mi dice che è sicura che troverò posto. dice: vedrai che avranno lasciato un posto solo per te. Confidando nelle sue parole riprendo il cammino da solo. Mancano ancora 8 km a O Pedrouzo. Lungo la strada, a Santa Irene, incontro le ragazze scout che ho conosciuto a Gonzar. Si sono ricongiunte con il loro gruppone. Mi chiedono: “Ma da Gonzar a qui l’hai fatta tutta a piedi?”. Rispondo: “se è per questo, l’ho fatta tutta a piedi da Burgos!”. Loro invece hanno preso la corriera per qualche tratto… Anche loro sono dirette a O Pedrouzo. Pianteranno le tende in uno spiazzo. Mi offrono un posto nella loro tenda casomai non trovassi posto all’albergue. ringrazio dell’offerta che accetterò volentieri nel caso in cui non trovassi posto. Arrivo a O Pedrouzo che sono le 16. mi reco all’albergue e trovo l’hospitalera fuori. Subito mi dice: “è completo!”. Poi però subito dopo aggiunge: “sei da solo?” io rispondo si allora mi dice di seguirla. Mi fa entrare e mi dice: “è rimasto un solo posto”. è incredibile: si è avverato quello che aveva predetto Meli. È come se avessero tenuto un posto apposta per me. L’hospitalera mi timbra la credenziale ma nonostante che io tenti di fermarla si sbaglia e timbra lasciando due spazi vuoti. Mi dice che tanto non fa niente. Ho abbastanza spazi anche per il cammino di Finisterre. Insisto per farmela timbrare al posto giusto. Vado alla ricerca del posto letto e mi sistemo. In albergue tutte le facce sono sconosciute. Gli unici che conosco sono il gruppo di ragazzi tedeschi incontrati spesso lungo il cammino. scherzando (ma non troppo) mi chiamano: italiano, pasta, Marcello (è un nome con cui identificano gli italiani). Io ci rido sopra. In fondo non hanno tutti i torti: da Ponferrada mi porto nello zaino mezzo chilo di spaghetti (che ancora non sono riuscito a cucinare) e poi io sono fiero della mia nazionalità. Dopo la doccia vado a fare un giro in paese. Incontro Alba, Marta e Pablo. Mi raccontano che loro dormono nella palestra. Alba mi racconta che sono arrivati verso le due (immagino quasi correndo) e che una ragazza ha detto loro di andare direttamente al polisportivo perché l’albergue municipale era pieno. Sapendo che i o sono arrivato cono comodità alle 16 trovando posto all’albergue si mangiano le mani, ma sono contenti per me. Alba mi dice che ho una buona stella in cielo. Mi fa molto piacere questa frase. Andiamo insieme a mangiare qualcosa. loro hanno voglia di… pizza! Io mi sono proibito di mangiare pizza all’estero immaginando cosa ti possono portare ma tutti e tre la ordinano e insistono perché la ordini pure io. Non voglio fare l’asociale snob e quindi mi adeguo. Ordino una pizza “Paesana” che di paesano italiano non aveva proprio niente. Però era mangiabile (sarà che avevo molta fame) e l’ho persino digerita. Mi diverto ad insegnare a Pablo come si dice “o paesano” con l’accento napoletano. Presto si fanno le nove e mezzo: si ritorna in albergue. Domani si arriva a Santiago!

(continua)
 
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