intro
torna il nonno dal suo ottavo cammino.
quello di le-puy.
negli occhi, nei piedi e nel cuore 1.600 km.
addosso tre mesi fuori casa.
ormai i cammini tradizionali li ha macinati praticamente tutti, un passo dopo l’altro.
un giorno dopo l’altro.
un anno dopo l’altro.
sera tardi.
cartoni di pizza ormai vuoti sul tavolo.
un fondo di birra in una bottiglia verde.
“e l’anno prossimo?”
“l’anno prossimo niente”.
“però. però ti manca l’inglese.”
“ah, no. l’inglese no. per 100 chilometri? ma figurati. per cento chilometri non mi muovo neanche. no, no. non se ne parla neanche. per cento chilometri non mi infilo neanche gli scarponi.”
“no? e se venissi con te?”
“davvero?”.
poi questa cosa la lasciamo lì.
nessuno ne parla più.
non lui.
non io.
io, a dire la verità, non ci penso neanche più.
non ci penso più.
ma vivo - nelle stesse settimane - dentro una nostalgia ed uno struggimento infinito per il cammino.
per quella vita lì.
per la me che sono quando sono lì.
potessi, mollerei tutto e tutti.
potessi, partirei.
partirei domani.
oggi.
anche ieri.
potessi.
ma non posso.
ci rivediamo qualche settimana dopo, con il mio papà.
in macchina, noi cinque e lui.
“ho detto a w. che non posso fare ginevra-pirenei con lui. che sono già in parola con te per fare l’inglese”.
così.
all’improvviso.
per me era solo sogno.
follia.
chimera lontana.
vita impossibile.
per lui era già progetto.
certezza.
vita possibile.
arriviamo a casa.
ci travolge la quotidianità.
al solito.
è domenica sera.
la settimana che finisce.
la settimana che inizia.
compiti da finire.
panni da piegare-stirare-mettere via.
minestrina sul fuoco.
cartelle da controllare.
vestiti da preparare.
facciamo tutto quello che dobbiamo fare.
ma intanto.
intanto ce la lasciamo rotolare addosso per qualche ora, questa idea pazza e bellissima di un cammino il nonno e io.
poi usciamo, noi due.
i bimbi stanno già dormendo.
in strada c’è buio e fa freddo.
è una delle prime sere fredde di questo autunno.
usciamo.
solito pub in fondo alla discesa.
le luci del lago sono poco lontane.
un panino.
e una birra.
arrogante ed esigente, la definisce il gestore.
e davanti a quel bicchiere che ha ricevuto in dono quegli aggettivi insoliti e perfetti, svuotiamo parole.
parole su di me.
su noi due.
sui bimbi.
sul nonno.
in mezzo – sempre - quel cammino.
quei passi impossibili.
quei passi forse possibili.
quei passi che forse saranno.
il dono che potrebbero essere.
la paura che fanno.
fa sempre un po’ paura, un cammino che inizia.
perché quando parti sai sempre come parti.
mai come torni.
mi spaventa, questa cosa.
mi spaventa, questa consapevolezza sicura e provata che ho, dopo tutti i miei anni da pellegrina.
mi guardi con occhi belli.
ostriconi.
occhi di un allora lontano.
occhi di quando eri ragazzo – 12 anni fa, infinite vite fa.
occhi che sorridevano sereni.
avevano dentro meno vita, meno responsabilità, meno ruoli, meno dolore, meno paura, meno incertezze.
“sai cosa facciamo?”
ti guardo con occhi belli.
maquis.
occhi di un allora lontano.
occhi di quando ero ragazza – 12 anni fa, infinite vite fa.
occhi che sorridevano allegri.
avevano addosso meno vita, meno responsabilità, meno ruoli, meno dolore, meno paura, meno incertezze.
“ti vengo a prendere su quella piazza. sarò lì ad aspettarti, alla fine di quei tuoi passi. ci sarò io. e ci saranno i bimbi. ci saremo noi. ci sarà la nostra vita ad aspettarti a casa”.
e così.
così davanti a quella birra impegnativa ed esigente.
così.
davanti ai nostri occhi belli che in quel momento sono di nuovo splendenti e puliti come quelli di dodici anni fa, ci permettiamo questi passi.
ci promettiamo questo cammino.
mio.
e nostro, in qualche modo.
ci promettiamo un incontro su quella piazza, alla fine dei miei passi con il nonno.
ci promettiamo un abbraccio stretto, lì - davanti a quella cattedrale che da sempre ci è casa.
ci promettiamo un arrivederci lì - i piedi su quel selciato tanto amato.
eravamo ragazzi, l’unica volta che ci eravamo stati insieme, su quella piazza.
eravamo nuovi, allora - un pomeriggio d’agosto, undici anni fa.
anelli lucenti di novità.
appoggiata alla macchina, una scaletta traballante in equilibrio perfetto tra terra, cielo, sogni, stelle.
nel baule, tutta la nostra vita.
oggi nuovi non lo siamo più.
gli anelli hanno addosso la patina del tempo, dei passi, della vita.
nella cesta dei panni da lavare, un lenzuolo liso.
sulla mensola lì accanto, un rocchetto di filo colorato e un ago.
oggi nuovi non lo siamo più.
oggi siamo un uomo ed una donna.
oggi siamo un padre e una madre.
oggi ci torneremo, su quella piazza.
avremo con noi i figli che abbiamo messo al mondo.
oggi ci torneremo, su quella piazza.
avremo addosso a noi ogni passo che abbiamo camminato uno accanto all’altro - mano nella mano - in questi anni.
e hai voglia a tenere lo zaino leggero.
avremo addosso i passi facili.
quelli allegri.
quelli sereni.
quelli pieni di sole, di risate, di vita, di speranza, di voglia.
ma anche.
i passi tristi.
quelli arrabbiati.
quelli incerti.
quelli che erano solo lacrime, solo dolore, solo paura, solo non sapere.
quelli che non avremmo mai voluto camminare.
quelli che ci è toccato camminare, perché quello era il nostro cammino.
il giorno dopo i biglietti sono fatti.
smette di essere sogno.
diventa vita.
5 maggio 2019: partiremo, il nonno e io.
120 chilometri a piedi.
da ferrol a santiago.
padre e figlia a camminare insieme.
11 maggio 2019: arriverete voi.
80 chilometri in autobus.
da santiago all’oceano.
tre generazioni alla fine del mondo.
così.
12 anni dopo.
di nuovo con gli scarponi ai piedi.
cri
ps.: e poi?
e poi – uno.
e poi noi chiuderemo i nostri zaini.
e saluteremo l’ennesimo pezzo di cuore lasciato in giro per il mondo.
poi saliremo su quell’aereo.
e torneremo nella nostra casa, nella nostra vita, nella nostra quotidianità.
e saremo un po’ più vivi.
e un po’ più morti.
come sempre.
come sempre alla fine di ogni cammino.
e poi – due.
e poi il nonno chiuderà il suo zaino e si allaccerà, ancora una volta, i suoi scarponi.
e saluterà noi - pezzi del suo cuore che tornano a casa.
poi salirà su quell’autobus.
per dove?
chi lo sa.
per una qualche città spagnola.
per l’inizio di un nuovo cammino.
che lui l’aveva detto da subito.
“per soli 120 chilometri non mi muovo neanche”.
torna il nonno dal suo ottavo cammino.
quello di le-puy.
negli occhi, nei piedi e nel cuore 1.600 km.
addosso tre mesi fuori casa.
ormai i cammini tradizionali li ha macinati praticamente tutti, un passo dopo l’altro.
un giorno dopo l’altro.
un anno dopo l’altro.
sera tardi.
cartoni di pizza ormai vuoti sul tavolo.
un fondo di birra in una bottiglia verde.
“e l’anno prossimo?”
“l’anno prossimo niente”.
“però. però ti manca l’inglese.”
“ah, no. l’inglese no. per 100 chilometri? ma figurati. per cento chilometri non mi muovo neanche. no, no. non se ne parla neanche. per cento chilometri non mi infilo neanche gli scarponi.”
“no? e se venissi con te?”
“davvero?”.
poi questa cosa la lasciamo lì.
nessuno ne parla più.
non lui.
non io.
io, a dire la verità, non ci penso neanche più.
non ci penso più.
ma vivo - nelle stesse settimane - dentro una nostalgia ed uno struggimento infinito per il cammino.
per quella vita lì.
per la me che sono quando sono lì.
potessi, mollerei tutto e tutti.
potessi, partirei.
partirei domani.
oggi.
anche ieri.
potessi.
ma non posso.
ci rivediamo qualche settimana dopo, con il mio papà.
in macchina, noi cinque e lui.
“ho detto a w. che non posso fare ginevra-pirenei con lui. che sono già in parola con te per fare l’inglese”.
così.
all’improvviso.
per me era solo sogno.
follia.
chimera lontana.
vita impossibile.
per lui era già progetto.
certezza.
vita possibile.
arriviamo a casa.
ci travolge la quotidianità.
al solito.
è domenica sera.
la settimana che finisce.
la settimana che inizia.
compiti da finire.
panni da piegare-stirare-mettere via.
minestrina sul fuoco.
cartelle da controllare.
vestiti da preparare.
facciamo tutto quello che dobbiamo fare.
ma intanto.
intanto ce la lasciamo rotolare addosso per qualche ora, questa idea pazza e bellissima di un cammino il nonno e io.
poi usciamo, noi due.
i bimbi stanno già dormendo.
in strada c’è buio e fa freddo.
è una delle prime sere fredde di questo autunno.
usciamo.
solito pub in fondo alla discesa.
le luci del lago sono poco lontane.
un panino.
e una birra.
arrogante ed esigente, la definisce il gestore.
e davanti a quel bicchiere che ha ricevuto in dono quegli aggettivi insoliti e perfetti, svuotiamo parole.
parole su di me.
su noi due.
sui bimbi.
sul nonno.
in mezzo – sempre - quel cammino.
quei passi impossibili.
quei passi forse possibili.
quei passi che forse saranno.
il dono che potrebbero essere.
la paura che fanno.
fa sempre un po’ paura, un cammino che inizia.
perché quando parti sai sempre come parti.
mai come torni.
mi spaventa, questa cosa.
mi spaventa, questa consapevolezza sicura e provata che ho, dopo tutti i miei anni da pellegrina.
mi guardi con occhi belli.
ostriconi.
occhi di un allora lontano.
occhi di quando eri ragazzo – 12 anni fa, infinite vite fa.
occhi che sorridevano sereni.
avevano dentro meno vita, meno responsabilità, meno ruoli, meno dolore, meno paura, meno incertezze.
“sai cosa facciamo?”
ti guardo con occhi belli.
maquis.
occhi di un allora lontano.
occhi di quando ero ragazza – 12 anni fa, infinite vite fa.
occhi che sorridevano allegri.
avevano addosso meno vita, meno responsabilità, meno ruoli, meno dolore, meno paura, meno incertezze.
“ti vengo a prendere su quella piazza. sarò lì ad aspettarti, alla fine di quei tuoi passi. ci sarò io. e ci saranno i bimbi. ci saremo noi. ci sarà la nostra vita ad aspettarti a casa”.
e così.
così davanti a quella birra impegnativa ed esigente.
così.
davanti ai nostri occhi belli che in quel momento sono di nuovo splendenti e puliti come quelli di dodici anni fa, ci permettiamo questi passi.
ci promettiamo questo cammino.
mio.
e nostro, in qualche modo.
ci promettiamo un incontro su quella piazza, alla fine dei miei passi con il nonno.
ci promettiamo un abbraccio stretto, lì - davanti a quella cattedrale che da sempre ci è casa.
ci promettiamo un arrivederci lì - i piedi su quel selciato tanto amato.
eravamo ragazzi, l’unica volta che ci eravamo stati insieme, su quella piazza.
eravamo nuovi, allora - un pomeriggio d’agosto, undici anni fa.
anelli lucenti di novità.
appoggiata alla macchina, una scaletta traballante in equilibrio perfetto tra terra, cielo, sogni, stelle.
nel baule, tutta la nostra vita.
oggi nuovi non lo siamo più.
gli anelli hanno addosso la patina del tempo, dei passi, della vita.
nella cesta dei panni da lavare, un lenzuolo liso.
sulla mensola lì accanto, un rocchetto di filo colorato e un ago.
oggi nuovi non lo siamo più.
oggi siamo un uomo ed una donna.
oggi siamo un padre e una madre.
oggi ci torneremo, su quella piazza.
avremo con noi i figli che abbiamo messo al mondo.
oggi ci torneremo, su quella piazza.
avremo addosso a noi ogni passo che abbiamo camminato uno accanto all’altro - mano nella mano - in questi anni.
e hai voglia a tenere lo zaino leggero.
avremo addosso i passi facili.
quelli allegri.
quelli sereni.
quelli pieni di sole, di risate, di vita, di speranza, di voglia.
ma anche.
i passi tristi.
quelli arrabbiati.
quelli incerti.
quelli che erano solo lacrime, solo dolore, solo paura, solo non sapere.
quelli che non avremmo mai voluto camminare.
quelli che ci è toccato camminare, perché quello era il nostro cammino.
il giorno dopo i biglietti sono fatti.
smette di essere sogno.
diventa vita.
5 maggio 2019: partiremo, il nonno e io.
120 chilometri a piedi.
da ferrol a santiago.
padre e figlia a camminare insieme.
11 maggio 2019: arriverete voi.
80 chilometri in autobus.
da santiago all’oceano.
tre generazioni alla fine del mondo.
così.
12 anni dopo.
di nuovo con gli scarponi ai piedi.
cri
ps.: e poi?
e poi – uno.
e poi noi chiuderemo i nostri zaini.
e saluteremo l’ennesimo pezzo di cuore lasciato in giro per il mondo.
poi saliremo su quell’aereo.
e torneremo nella nostra casa, nella nostra vita, nella nostra quotidianità.
e saremo un po’ più vivi.
e un po’ più morti.
come sempre.
come sempre alla fine di ogni cammino.
e poi – due.
e poi il nonno chiuderà il suo zaino e si allaccerà, ancora una volta, i suoi scarponi.
e saluterà noi - pezzi del suo cuore che tornano a casa.
poi salirà su quell’autobus.
per dove?
chi lo sa.
per una qualche città spagnola.
per l’inizio di un nuovo cammino.
che lui l’aveva detto da subito.
“per soli 120 chilometri non mi muovo neanche”.